31.ALEC

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Alle mie spalle chiusi con un tonfo la porta della camera.
Mi ritrovai a girare attorno al mio letto con le mani sulla testa: cosa dovevo fare?

Quella ragazza mi faceva uscire fuori di testa.
Puntai lo sguardo fuori dalla finestra e aspettai che l'aria spinosa titillasse sulla mia pelle rovente.

Lei non capiva.

Avrei potuto farle comprendere cosa mi stimolassero le sue parole o la sua sola presenza, però sospettavo che lo sapesse già, visto il modo insistente in cui mi provocava.

Io non ero come gli altri.

Chiudermi in me stesso era l'unico modo che conoscevo per non permettere alla rabbia di deformarmi i lineamenti. I ricordi si erano ossidati nella mente, la mia indifferenza mi aveva aiutato a restare in piedi, a sopravvivere, eppure, quando restavo con lei, giri strani di pensieri mi piegavano come se fossi ridotto in schiavitù. Dovevo schiarirmi le idee.

Vidi con la coda dell'occhio la figura di Drew nel viale mentre si avvicinava alla moto. Senza pensarci un istante, uscì fuori dalla stanza e presi le chiavi della mia. Una piccola voce si chiese se sarebbe potuta fuggire, ma venne messa a tacere nel momento in cui metabolizzai che l'avevo appena rinchiusa proprio come una prigioniera e anche se non era normale, era proprio questo motivo a darmi un'estrema calma apparente.

Lei non poteva fare niente.

"Vieni anche tu in città?" urlò Drew da sopra il rombo della moto.

Annuì senza guardarmi indietro.
Lei era mia e non se ne discuteva.

Ore dopo mi sentivo distrutto e fuori controllo.
Eravamo in città.
Sapevo già che cosa fare in serate come quelle, perché ce ne erano state fin troppe. Drew sapeva che quando ero in questo stato doveva lasciarmi stare.
Perciò nel giro di una decina di secondi afferrai il bicchiere portandolo alla bocca e lo buttai giù spingendo Mel a darmene un altro.
La musica del locale mi rimbombava nei timpani come rumore bianco, in modo da azzerare qualsiasi altro suono giungesse alle mie orecchie.
Mi stavo quasi rilassando, quando qualcosa dentro di me si spezzò e fece rumore, un tonfo sordo e poi uno scricchiolio di cocci. Lo avvertii dentro le orecchie, nel sangue, alle ginocchia. Mi sentivo come la nube tossica che avvolgeva la notte.
Dietro la porta del mio passato non c'era altro che oscurità e dolore.

Perché avrei dovuto trascinarmi di nuovo in quella merda?

Per rivangare e rimuginare?

Molto meglio avere quella porta sempre chiusa.

Tracannai tutto in un colpo l'ennesimo bicchiere pieno e in quel momento, quando il rum mi spezzò in due lo stomaco, realizzai che dovevo tornare indietro. Lasciai Drew divertirsi. Mi preoccupai solo di fargli capire che me ne sarei andato.

Arrivato a casa, mi incamminai al piano di sopra.
Camminavo lungo il corridoio, mentre mi massaggiavo gli occhi per la stanchezza, mi fermai davanti alla sua porta prendendo qualche secondo ricordando cosa avevo fatto e neanche uno spillo di colpa mi traforò il cuore. Poi feci scattare il paletto e senza preoccuparmi di palesarmi prima, entrai. La prima cosa che notai fu la sua figura oscura sotto le coperte.

Probabilmente stremata si era addormentata. E ora appariva beata e calma come un piccolo angioletto.
Il bagliore della luna illuminava il pavimento e, nel silenzio della casa, sentivo soltanto il suo respiro fiacco. Non riflettei neanche un secondo e salì sul suo letto, mi misi a quattro zampe sopra il suo corpo ancora sonnolento e la guardai. Non c'era nessun a fermarmi.

C'ero solo io e questa osservazione mi rese fiero.
Ero stufo marcio di vederla tra le loro braccia.
Me l'ero scopata, ero colpevole quanto loro di cosa provocasse la sua vicinanza e avevo odiato fin dal primo momento il modo in cui si era lasciata toccare da tutti. Mi infastidiva soprattutto che, nonostante quello che c'era stato tra noi in quella tenda, ancora si lasciasse sfiorare come una bambola.

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