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Rischiavano di perdere e Andrew si sentiva tremendamente frustrato. Occupando il posto accanto a lui sul divano, suo fratello Lucas sembrava condividere il suo stato d'animo. In quel momento avrebbero potuto apparire come gemelli, nonostante i loro cinque anni di differenza: entrambi erano sporti in avanti verso il televisore, i gomiti sulle ginocchia. Lucas tamburellava il piede sul pavimento, Andrew gli tirò un calcio per farlo smettere.

«Tre minuti» borbottò. Mancavano solo tre dannatissimi minuti alla fine della partita.

«Sono un'eternità, possiamo ancora vincere» disse Lucas, la voce colma di trepidazione. «Forza, buttalo dentro!»

Andrew era sul punto di saltare in piedi e mettersi a urlare, seguiva con gli occhi il disco, stringendo insieme le mani quasi stesse pregando per la vittoria – cosa che probabilmente stava facendo suo padre, accomodato sulla poltrona. Trenta secondi... e goal!

«Sì! Goal!» esultò Lucas lanciandosi in avanti mentre si alzava. Andrew fece lo stesso, esultando a sua volta e tirando il fratello in un abbraccio saltellante. «I Jets non deludono mai, te lo avevo detto che avremmo vinto! Forse non è la nostra stagione migliore, ma abbiamo ottime possibilità.»

Per logica, dato che viveva a Boston da metà della sua vita, Andrew, così come il resto della famiglia, avrebbero dovuto tifare per i Bruins, ma quando a dodici anni suo padre aveva portato lui e Lucas a vedere la loro prima partita di hockey era stato amore a prima vista per i Jets. Quando aveva lasciato il Canada, per via del lavoro di Cassandra, avevano continuato a portare i Jets nel cuore. Forse era pura superstizione, ma una volta scelta c'era una sola e unica squadra, non si poteva cambiare.

«Possiamo fare qualche preghiera in più per questo, ma non ditelo alla mamma» mormorò suo padre, poi prese un sorso di birra.

La figura di Cassandra spuntò sulla porta della cucina. «Non dirmi cosa? Ricardo, ti ho detto mille volte di non disseminare il salotto con le bottiglie vuote.»

«Sgrida i tuoi figli, questa è la mia unica birra.» Le mostrò la bottiglia che aveva in mano.

Quindi Cassandra Davis-Rivera, donna provvista del talento di lanciare occhiate in grado di sostituire frasi intere, rivolse i suoi occhi azzurri verso i figli, rimproverandoli per il disordine. Lucas alzò subito le mani in segno di difesa, mentre Andrew fece una smorfia. «Date una ripulita. La cena è quasi pronta.»

Suo padre attirò la moglie in un abbraccio. «Il profumo è delizioso, mi amor

«Spero che lo sia anche il sapore, ho provato una nuova ricetta.»

Lucas aggirò il divano e sbirciò in cucina. «Avresti potuto chiedermi di aiutarti.»

«Come se fosse possibile scollarvi dal televisore quando giocano i Jets!» Andrew rise osservando sua madre alzare gli occhi al cielo e dirigersi nuovamente nell'altra stanza. Suo fratello si limitò ad alzare le spalle.

Lucas era un cuoco eccellente, tutto merito della scuola di cucina che stava frequentando, ma nonostante la sua bravura, Cassandra non gli aveva mai permesso di cucinare quando raggiungevano la casa dei genitori per cenare insieme – una ricorrenza che cadeva una volta al mese.

Raccolsero le bottiglie vuote prima di apparecchiare la tavola e accomodarsi. Era una regola non scritta della loro famiglia: l'unico modo per mangiare era a un tavolo apparecchiato – derivata dalle origini spagnole di Ricardo. Ad Andrew era sempre piaciuta quella regola, perché faceva sì che potessero condividere le proprie giornate a ogni cena, passando quel momento in famiglia. Sorrise brevemente ricordando gli anni del liceo, quando c'erano stati giorni in cui avrebbe preferito sprofondare nel terreno, piuttosto che sentire sua madre interrogare lui e Lucas sulla loro vita amorosa – e se doveva dirla tutta, certe cose non erano cambiate.

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