Capitolo 1

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«Ed ecco le mie preferite!»

Miss Mirella era esuberante come al solito. Era ancora molto bella, nonostante non fosse più giovane da un pezzo. Vestiva di rosso, come ogni volta in cui la si vedeva mettere piede nel condominio. I suoi capelli neri erano raccolti in un'acconciatura super elaborata, tenuta in posa da un fermacapelli di legno rosso a forma di cerbiatto. Dietro di lei si nascondeva un giovane vestito come uno scappato di casa e con un paio di spessi occhiali storti sul naso. I capelli scuri, precedentemente scompigliati dal vento, erano stati tagliati male, per di più in fretta e furia, da qualcuno senza arte a giudicare dai graffi sul collo e dai ciuffi irregolari che sfuggivano al riporto ingellato indietro. Impallidì più di quanto già non fosse quando la donna davanti a lui si scansò per farlo passare avanti. Dava quasi l'impressione di essere un pulcino appena nato e strappato alla madre, gettato in mezzo ad un allevamento di galli. Un'immagine abbastanza triste e fuori luogo, insomma. Aveva con sé un borsone nero e lo stringeva come se da quello dipendesse la propria vita, senza staccare gli occhi dal parquet scuro. Celine sedeva su una delle poltrone del salotto, raggomitolata come un gatto pigro bianco. Non aveva fatto il minimo sforzo di saluto né di riconoscimento verso Miss Mirella al suo arrivo, eccezion fatta per un rispettoso cenno con la mano sinistra. Neanche Minerva si era sforzata più di tanto. Era spalmata sul divano con un manuale di cucina in mano; aveva alzato gli occhi e mosso appena la testa nel sentire la voce della donna in rosso.

«Suvvia, cos'è quest'aria tetra?» sorrise tirando fuori un ventaglio vermiglio tutto fronzoli e merletti.

«Vi sembra questo il modo di accogliere un nuovo arrivato?»

Celine fece penzolare una gamba dalla poltrona, e non appena il piede nudo toccò il pavimento, si stiracchiò. Si sporse verso il tizio che ancora si fissava la punta delle scarpe quasi consumate.

«Ciao.» disse, poi si voltò verso Minerva sedendosi a gambe incrociate, quasi volesse che dalla sua bocca uscisse un qualsiasi tipo di suono.

Forse perché si sentiva osservata, forse perché era il caso di farlo, quella posò il libro che stava leggendo, inforcò gli occhiali e squadrò il ragazzo che le si parava davanti da capo a piedi.

«Chi sei?» chiese inclinando la testa.

Miss Mirella rise. Chiuse la porta con un tonfo che ricordò per un momento quello di un miliardo di catene sbattute contro un muro.

«Vi presento Henry. È un po' timido, forse.»

Celine sbadigliò, Minerva spostò la sua attenzione verso il soffitto.

«Gli farete vedere la casa, vero?» il forte ticchettio di un orologio da tasca si insinuò nell'aria non appena la donna terminò la frase.«Io temo di essere già terribilmente in ritardo.»

Annuirono entrambe. Anche se nessuna aveva la minima voglia di alzarsi o di farlo, avrebbero dovuto.

«Certo, Miss Mirella.» disse Celine forzando un sorriso.

La donna, che non aveva smesso di sorridere da quando era entrata in casa, allargò la smorfia sul suo viso tanto da diventare inquietante. Il ticchettio però si fermò.

«Splendido! Davvero splendido!» batté le mani, fece un giro su sé stessa, poi agguantò una delle spalle di Henry.

«Allora, ti lascio alle loro splendide cure.»

Senza aspettare una risposta, la donna fece un'altra piroetta su sé stessa, poi si fermò a guardare nuovamente i giovani con l'inquietante smorfia dilatata ancora in viso e uscì tacchettando rumorosamente. Non appena la porta si chiuse, Minerva tolse gli occhiali e li posò su un tavolino da caffè poco distante da lei, per poi sospirare pesantemente. Si alzò, raggiunse la finestra della veranda e guardò fuori la figura di Miss Mirella allontanarsi al ritmo incalzante del vento, leggera come un daino, mentre la gonna le rincorreva le gambe. Celine si alzò dalla poltrona, il vestito bianco che indossava si era sgualcito tutto e stava provando a rimetterlo a posto con le mani. Si alzò in punta di piedi, forse per vedere meglio quando Miss Mirella fosse sparita del tutto. Il sole le pungeva le iridi, si mescolava a quel bel colore verdastro e creava una pozza. Henry era ancora fermo nel punto in cui lo aveva lasciato la donna che lo aveva accompagnato. Il suo sguardo vagava lungo le mura del salotto, si posava sulla mobilia e poi riprendeva a correre in giro come se si fosse irrimediabilmente scottato.

«Se continui a guardare in giro in quel modo, ti si consumeranno gli occhi.»

Minerva si era raddrizzata gli occhiali. Lo guardava fisso negli occhi, spostando le gambe sul divano di camoscio. Il ragazzo saltò sul posto, fece un paio di respiri profondi prima di allentare la presa sulla tracolla.

«Io... sono Henry.» disse spaventato, quasi come se avesse appena rivelato uno dei più grandi misteri proibiti del mondo. Non appena si rese conto di avere addosso lo sguardo di Minerva, dapprima divenne niveo in viso, poi piano piano riprese colore.

«E quindi? Pensi che qui qualcuno abbia problemi di udito o non ti sei accorto che il Cervo ti ha presentato appena varcata la soglia?»

Calò ancora il silenzio. Il sole era ancora alto nonostante il mezzogiorno fosse passato, Celine sgranò gli occhi.

«Nerv?»

Minerva si voltò a guardarla. Il fastidio le si leggeva in fronte.

«Che c'è?»

«Non sono già passate le tre di pomeriggio?»

Si voltò verso un enorme orologio a pendolo, sorpresa di vedere che quell'ora fosse già passata da un pezzo. Si diresse verso il ragazzo, quasi inciampando nei suoi stessi passi e lo prese per il braccio.

«Ti porto a vedere la tua stanza.»

Henry era confuso dal repentino cambio di intenzioni della ragazza, ma non fece domande.

«Come avrai già capito, io sono Minerva. La ragazza vestita di bianco si chiama Charlotte.»

"Ha le mani calde." pensò, "E grandi. Sembra terribilmente dura all'esterno, ma non farebbe del male a una mosca." aggiunse.

Venne condotto in un'ampia camera dalle pareti diafane, all'interno della quale si trovavano un letto spoglio queen size, un armadio bianco, una sedia, un comodino e una scrivania di medie dimensioni, tutte dello dello stesso colore sciupato del guardaroba. La finestra, da cui entrava pochissima luce, sembrava offrire un panorama finto, quasi messo lì a solo scopo ornamentale.

«Il bagno è in fondo a sinistra. Quando hai finito di sistemarti raggiungici.»

La porta, nonostante sembrasse terribilmente leggera a prima vista, si chiuse con un tonfo pesante.

Celine, che ancora si agitava alla finestra, aveva preso a torturarsi le punte dei capelli; era in ansia, lo si poteva capire benissimo.

«Ti prego, smettila.» Minerva le passò accanto, per poi sedersi a terra.«Mi stai facendo venire l'orticaria.»

«Nerv, non capisci... sta per succedere qualcosa, me lo sento!»

Ci fu una sensazione di calma, quasi come se il volume del mondo fosse stato di colpo abbassato dal Creatore.

«E comunque, sono Celine, non Charlotte.»

Minerva si grattò il capo.

«Celine, Charlotte, Celia... siamo lì. E comunque, Rick non può raggiungerti oggi. Non con un nuovo arrivo non classificato tra le pareti.»

Celine squadrò l'ambiente circostante dopo aver emesso un sonoro sbuffo; non si muoveva una foglia, non un acaro.

«No, Nerv, non è quello che intendo. È diverso, è come se qualcuno avesse tirato i dadi del destino in una partita con il Creatore, e gli stesse tenendo terribilmente testa.»

***

Le ruote del taxi avevano un ritmo terribilmente lento. La puzza di muffa si mescolava in modo disgustosamente perfetto a quella di sporco e fumo dentro l'abitacolo vecchio e traballante. Nelle cuffiette di Enea ormai si distingueva solo il sonoro ronzare fastidioso del motore mezzo morto dell'automobile quasi centenaria che lo stava portando ai cancelli della sua nuova vita. Stringeva in mano un biglietto scarabocchiato in fretta e furia durante una telefonata, un postit rosa fluorescente sbiadito dalla lavatrice e miracolosamente ripescato integro, che citava "Poppy's DreamPlace, 169 Monty Hill."

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