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Quella giornata portava il cielo grigio, le nuvole coprivano il sole e il loro colore nerastro stava a significare che di lì a poco sarebbe sceso giù il diluvio universale

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Quella giornata portava il cielo grigio, le nuvole coprivano il sole e il loro colore nerastro stava a significare che di lì a poco sarebbe sceso giù il diluvio universale.
Da quando si era trasferito a New York con i suoi genitori erano state poche le volte in cui aveva assistito ad un cielo sereno in quella città, gli mancava infatti la sua Seoul. Non per il meteo, per tutto.
All'età di dieci anni si ritrovava a dover ripartire completamente da zero, in una scuola media che non sembrava molto amichevole nei suoi confronti, soprattutto i suoi compagni di classe che erano i primi a sfotterlo per il semplice fatto che non sapesse dire neanche mezza parola in inglese.
A tutti gli intervalli veniva preso di mira nei corridoi dal gruppetto di bulli, noto in tutto l'istituto. Erano più grandi di lui poiché si trovava a frequentare il primo anno di medie contro i due anni in più che portavano sulle spalle gli altri tre.
Gli spintoni che puntualmente si prendeva e che lo facevano cadere ogni volta a terra, i ciuffi di capelli che gli tiravano per farlo rimettere in piedi e le risate che si prendeva in faccia ogni volta, quando parlavano per offenderlo e lui non riusciva a capire cosa dicessero.
Non capiva perché ridessero, perché lo trattassero così.
Lui, che non aveva mai fatto niente di male a nessuno, si ritrovava a dover essere vittima di un odio ingiustificato da parte di tre ragazzi più grandi lui.

«Ma sei imbecille o cosa? Ti sto parlando, perché non mi rispondi? Vuoi che ti insegni l'americano a suon di calci in culo?»
«Hey muso giallo, tornatene nel paese da cui sei venuto.»
«Ma in Cina mangiate i cani?»

Qualsiasi cosa gli dicessero lui non avrebbe saputo come rispondere, un po' perché ovviamente non capiva, l'altra parte invece per il fatto che se anche ci avesse provato sarebbero stati loro a non capire.
Però sapeva una cosa e di questo ne era certo: a dieci anni aveva già assaporato l'odio e la cattiveria del mondo; a quell'età però, si è ancora troppo piccoli per questo.
Le persone sapevano essere davvero malefiche. Quei ragazzini che lo bullizzavano erano succubi dei loro genitori che non gli davano la giusta educazione o a loro volta subivano attacchi d'ira tra le mura di casa che li portavano poi a sfogarsi con coetanei che non c'entravano assolutamente nulla.
Wooyoung comunque non era cinese ma coreano, e no, in vita sua non aveva mai mangiato alcun cane.

«Hey Mike, perché non te la prendi con qualcuno che sa come difendersi, invece di scegliere un ragazzino che deve ancora imparare bene la lingua locale?»

Una figura misteriosa apparve all'improvviso nel corridoio dove Wooyoung rimaneva accasciato contro gli armadietti rossi, a seguito dell'ennesimo spintone ricevuto e il cazzotto sul naso. Nessun insegnante sembrava voler fare qualcosa per tutti gli episodi di bullismo che erano avvenuti in quel periodo nella scuola e forse era proprio perché a venir bullizzato non era un ragazzino bianco e americano al cento percento, ma un povero bambino di dieci anni appena trasferito dalla Corea in un paese completamente nuovo e sconosciuto.
Il ragazzo comunque gli dava le spalle e Wooyoung non aveva la minima idea di chi potesse essere, anche perché in classe sua non c'era mai stato nessuno pronto a prendere le sue difese.

«Tu stanne fuori, Choi. Non sono cose che ti riguardano.»
«Oh sì, mi riguardano eccome. Tra compaesani ci si aiuta.»

Wooyoung notò come quello davanti a lui chiuse le mani in due pugni. Non sapeva quanti anni avesse, se fosse al primo anno anche lui, al secondo oppure avesse la stessa età dei suoi aguzzini, in ogni caso apprezzò quel suo tentativo di difesa, nonostante continuasse a non capire bene cosa si stessero dicendo.

«Va bene stronzi, ma non finisce qui» sputò il primo dei tre. Wooyoung notò lo sguardo che rivolse al ragazzo che ancora gli dava le spalle, poi se ne andò, seguito dagli altri due. Sembrò quasi farsela sotto dopo l'intervento di quello sconosciuto e chissà, magari era davvero così.
I gruppetti di ragazzini che si erano radunati lì per lì scemarono in un attimo, appena capirono che lo spettacolo era giunto al termine, lasciando quindi da soli gli ultimi due e solo a quel punto il ragazzo misterioso si voltò verso Wooyoung.
Quest'ultimo percepì un'aria improvvisa di casa nel riconoscere tratti asiatici su quel viso, poi si avvicinò a lui, piegandosi sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.

«Ciao, sono San, piacere di conoscerti. Stai bene?»

Per la prima volta da quando era atterrato a New York, escluso i suoi genitori, Wooyoung aveva sentito qualcuno parlare in coreano. Quasi gli fece più piangere quello rispetto alle botte e gli spintoni che fino a poco prima gli avevano dato i suoi bulli.
Si limitò ad annuire, voleva parlare ma non ci riusciva. Avrebbe addirittura voluto toccare il volto di quel San per capire se quel ragazzo coreano fosse davvero reale, lì, in ginocchio davanti a lui, oppure fosse solo frutto della sua immaginazione, pensando ormai di esser giunto alla disperazione.

«Ce l'hai un nome?» Gli domandò con un sorriso amichevole. Wooyoung continuò a guardarlo in silenzio senza dire niente, volendosi prima accertare che non fosse un miraggio ma poi si strinse nelle spalle, piegò le ginocchia portandosele al petto e se le cinse con le braccia, rannicchiandosi su di sé.

«Wooyoung» sussurrò.

Quello fu solo l'inizio della loro amicizia.

CIAO
ve la sto droppando così su due piedi perché non sto più nella pelle, voglio troppo sapere però cosa ne pensate, per questa fan fiction voglio il botto, mi raccomando 🌚🌚

AAAA SONO SUPER EMOZIONATA PER QUESTO NUOVO INIZIO
🩵🩵🩵🩵🩵

Operazione sotto copertura || woosanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora