21. Demon time

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Ero impigliata in rovi di verità nascoste e desideri taciuti, che mi strappavano via pezzi di anima ad ogni minimo movimento nonostante io provassi a resistere a tutto il dolore che sprigionavano taglio dopo taglio. In fondo avevo perso la speranza, e la speranza non aveva mai trovato me.


 In fondo avevo perso la speranza, e la speranza non aveva mai trovato me

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Ero un idiota. Una grandissima testa di cazzo. Un colossale coglione.

Mi stavo scolando il terzo whisky della serata, in piedi in un angolo della sala da ballo di villa Parker, e per quanto io cercassi di concentrarmi nel trovare Diana in mezzo alla folla di gente intenta a ballare un lento al centro della sala, i miei pensieri erano fissi su tutt'altro.

Come diavolo mi era venuto in mente di appoggiare la stupida idea di Nate?
Quel bastardo lo sapeva, sapeva che da giorni nella mia testa si ripeteva l'immagine di quella stronza sul palco del Guilty Pleasure, sapeva che ogni volta che la guardavo avrei voluto metterla a novanta e scoparla fino all'esaurimento, che ogni volta che la sentivo parlare con quella sua lingua velenosa volevo riempirle la bocca con il mio cazzo per farla stare zitta. E invece di tenermi distante da lei aveva deciso di farmi cadere a capofitto nella tentazione, in quel miscuglio di desideri e impulsi del tutto sbagliati che avrei solo voluto strapparmi via di dosso.

Mi vergognavo di quello che avevo fatto, ma la cosa peggiore era che mi vergognavo di ciò che provavo. Non avrei dovuto provare desiderio per lei, non avrei dovuto trovarmi a pensare al modo in cui le sue labbra si arricciavano ogni volta che la prendevo di mira con una delle mie battute crudeli, e soprattutto non avrei dovuto aver bisogno di pensare a lei mentre scopavo un'altra donna per riuscire a venire.

Quando su quella torretta Nate mi aveva guardato e mi ero accorto la sua mano si muovesse lenta tra le cosce di Arabella, mi ero trovato di fronte ad una scelta.

Forse sarebbe stato meglio andarmene, ritornare al ballo per continuare a bere quella merda di champagne da ricconi e non infilarmi in situazioni che non sarei riuscito a gestire. Avrei potuto portarmi a letto la figlia di uno degli invitati a quella festa e magari mi avrebbe aiutato a dimenticare quei capelli rossi e quel corpo che sapeva di purgatorio.

Avevo invece deciso di provare a risolvere il problema alla radice. Visto che desideravo così tanto possedere quella maledetta ragazzina, avrei colto l'occasione per soddisfare il mio impulso malato e insinuarmi nel suo corpo una volta per tutte. Mi aspettavo semplicemente di penetrare un corpo vuoto e di uscirne vincitore, ma come ogni cosa che la riguardava, nemmeno quella era andata secondo i piani.

Ero fottuto.

Lo avevo capito al centro di quel labirinto, quando i miei pollici si erano impregnati delle sue lacrime e lei non aveva mai abbassato lo sguardo dal mio in un atteggiamento di sfida, come a volermi urlare addosso che lei non avrebbe ceduto e non me la avrebbe data vinta nemmeno con la punta della mia erezione a toccarle la gola.
Perché anche se era stata lei quella inginocchiata a lacrimare, ero io quello sottomesso al suo dominio, fatto di occhi bagnati senza un briciolo di insicurezza e lacrime dolci che colavano come miele.

𝚩𝐋𝚨𝐂𝚱𝐎𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora