CAPITOLO TRE

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«Ti prego, chiamami Lola. Dolores suona strano,» disse la ragazza dai capelli corvini, mentre sorseggiavano il caffè nel corridoio, dirette verso l'aula di Letteratura Americana. La vivacità nella sua voce ricordava ad Annette, forse ad Harold. Qualcosa in lei era familiare, e Annette si scoprì a pensare che Lola le piaceva.

«Beh, allora tu non chiamarmi 'signorina Coleman'» rispose ridendo la ragazza dai capelli rossi. «Sono Annette o...» fece una pausa, arrossendo. «Annie, se preferisci.»

Quando arrivarono in aula, si sedettero al primo banco, nell'ultima fila a destra, continuando a ridacchiare. Avevano avuto modo di conoscersi un po' meglio: Annette aveva raccontato a Lola del suo amore per la fotografia, e Lola aveva ricambiato, parlando della sua passione per la poesia.

Harold le osservava da lontano, con un mezzo sorriso sulle labbra, domandandosi come sarebbe stato bello avere un gruppo di amici più unito di quello che aveva ora. Sembravano conoscenti più che amici, eppure li conosceva fin dall'infanzia. Trovava la cosa un po' ironica. C'era una sorta di ironia nel fatto che, pur trascorrendo tanto tempo insieme, si sentivano comunque distanti. Spesso finivano per passare pomeriggi interi nelle loro grandi case, fissando la TV in silenzio, più vicini ai loro pensieri che tra di loro.

Harold lanciò uno sguardo alla nuova ragazza: occhi verdi e un naso leggermente all'insù.

Lola, percependo di essere osservata, si voltò verso di lui e gli rivolse un sorrisetto. Harold arrossì e tornò subito a concentrarsi sul libro di testo, fissando le parole e cominciando a sottolineare freneticamente per mascherare l'imbarazzo.

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Annette aveva notato lo scambio e si sentì un po' rattristata. Era buffo, in modo quasi ironico, vedere Harold arrossire. Era sempre stato il più riservato del loro gruppo, timido con tutti, ma Annette sapeva che, una volta aperto, non smetteva più di parlare. Era come un bambino imprigionato in un corpo che si stava ostinatamente adattando all'adolescenza. Un po' le dispiaceva che il cambiamento partisse proprio dalla novità del momento, ovvero Lola. Quest'ultima sembrava una ragazza genuina e allegra, con quella dolce impulsività di chi si anima facilmente. Le dispiaceva per entrambi, così innocenti e ... bambini. Non c'era altro modo per definirli. Non voleva sentirsi in competizione per l'affetto di Harold, ma la situazione le causava una certa inquietudine. Nel loro gruppo, era sempre stata l'unica ragazza, e per quanto fosse un'abitudine più che altro, si sentiva gelosa. Larissa, d'altronde, era arrivata più tardi, verso la fine del primo anno di liceo.

«Chi è? L'ho visto anche la settimana scorsa a Scienze» chiese Lola sottovoce e il tono curioso, facendo svanire le insicurezze di Annette.

«Lui è Harold, un mio amico. Ci conosciamo da sempre,» rispose Annette, lasciandosi sfuggire una risatina. «È un tipo molto silenzioso.»

«Me lo fai conoscere?» chiese Lola, in un sussurro, con la testa appoggiata sulla mano. Il tono era talmente disarmante che Annette provò una piccola fitta al petto, sospirando un flebile: «Sì». Cercò di concentrarsi sul professore, che spiegava animatamente un aneddoto su qualche autore. La lezione era interessante, ma Annette continuò a riflettere sulla domanda di Lola. In quel momento, Sylvia Plath le interessava meno di zero.

Si immaginava Harold e Lola insieme, una visione che per qualche motivo la infastidiva. Era come se temesse che, in quella relazione ipotetica, qualcosa della purezza, dell'innocenza e della mancanza di traumi di entrambi potesse venire contaminato. Prima che suonasse la campanella, il professor Gentile assegnò loro il compito di scrivere un componimento sull'amore, a scelta tra prosa o poesia.

Annette fissò il pavimento.

"L'amore è solo per i bambini", pensò la ragazza dai capelli ramati. Chiuse i libri, uscì seguita da Lola e si avvicinò all'armadietto per riporre tutto.

"Chissà cosa c'è per pranzo", si chiese, cercando di allontanare quei pensieri scomodi.

ROSSO DI SERADove le storie prendono vita. Scoprilo ora