Capito 23 ~ Stalker

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~ JESSICA ~

Il mio aereo low coast aveva toccato la terra parigina intorno all'una di notte. A dispetto dell'ora, il mio cervello era completamente sveglio e operativo a causa del fuso orario, cosa di cui ero grata, dal momento che dovevo ancora attraversare la città con i mezzi pubblici.

Una mano tatuata entrò nella mia visuale periferica, attirando il mio sguardo verso il vistoso anello nero all'indice e sulle elaborate trame che l'inchiostro aveva tracciato sul dorso. Il tutto si articolava attorno a una sorta di quadrifoglio incastonato in un cerchio, ma non mi soffermai per cogliere la complessità dell'opera d'arte, giacché il proprietario della mano mi stava fissando a sua volta.

Era un ragazzo sui venticinque anni, un'imponente presenza fisica e muscolare e una rasatura quasi militare dei mori e capelli. La giacca in pelle nera e i suoi inespressivi occhi grigi non aiutavano a ingentilire l'aura di pericolo che aizzò un brivido lungo la schiena.

Un lieve sorriso di circostanza veleggiò tuttavia sulle sue labbra, l'istante prima lo sconosciuto ritraesse la mano e un borsone nero dal nastro trasportatore.

Sorpresa, ricambiai di riflesso. Il tizio schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma non gliene lasciai il tempo: volsi i tacchi e mi allontanai a passo svelto, ignorando l'insopportabile rumore di ruote trascinate nella direzione sbagliata finché esse non mi sovvenne di orientare correttamente la valigia.

Non ero mai stata in Francia, prima di allora, ed era un vero peccato avere altre priorità rispetto a fare la turista. I pochi vocaboli nella lingua nazionale che conoscevo erano gli ormai eroici e isolati superstiti dei miei studi scolastici. Fortunatamente in aeroporto incontrai alcuni membri del personale che parlano inglese a cui chiedere direzioni.

Persone che non mi dessero i brividi come Mr Mano Tatuata, possibilmente.

Non appena fui in viaggio in metropolitana in direzione nel mio B&B di bassa lega, degno del mio budget da studentessa squattrinata e della mia necessità di tenere un basso profilo, controllai il cellulare.

Il mio messaggio era arrivato a Ratri, ma lei non lo aveva visualizzato. Ne trovai alcuni da parte dei miei genitori, preoccupati per me.
Avevo posposto già due volte la loro proposta di venirmi a trovare da Liverpool a Londra, da dove credevano che non mi fossi mai mossa per tutto il tempo in cui ero stata in America. Conoscendo mia madre ero certa un bel giorno che si sarebbe presentata sulla soglia di casa, con un vassoio di paste e un altro di lasagne, da schiaffare "in quel deserto ti ritrovi per frigo, signorina hacker".

Ciò non corrispondeva sempre al vero, ma in due occasioni aveva suonato il mio campanello poche ore dopo una visita di Hjörtur, pertanto quell'idea si era ormai radicata nel suo cervello. E lungi da me lamentarmi per il buon cibo gratis. Mamma era di lontane origini italiche e le lasagne erano il solo e unico piatto tipico che sapesse cucinare decentemente.

Pertanto, al fine di evitare che una teglia di ben di Dio fosse generata per me in mia assenza, avevo scelto di essere onesta circa il viaggio in solitaria a Parigi.
Certo, mi ero anche inventata di sana pianta un colloquio con uno stimato professore universitario locale. Puntavo sul fatto che i miei non avrebbero mai veramente letto la mia tesi, che era puro aramaico per loro.

Rassicurai mia madre: ero quasi arrivata e non avrei sentito il professore prima di due giorni. Nel frattempo, avrei fatto la turista. Avvertii una fitta di rimorso nel digitare un mucchio di bugie, ma per nessuna ragione avrei coinvolto né lei, né papà in quella delirante storia.

TENEBRIS - Il canto della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora