PROLOGO

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Sapete quando avete quella voce dentro la vostra testa che vi dice 'non farlo, non ne vale la pena'? Ecco, io ci convivo ormai dall'età di otto anni. E non per qualche motivo in particolare o per qualcosa che gli psicologi adorano definire "trauma infantile", ma perché semplicemente penso di avere un problema. Non mi fido di nessuno. Tutte quelle cazzo di volte in cui lascio una parte di me a qualcuno, ovviamente quest'ultimo è pronto a prendere il mio cuore in mano, osservarlo con un sorriso sadico sul volto e infine buttarlo a terra per poi schiacciarlo ripetute volte. Dall'età di otto anni. La mia vita è partita già con una disgrazia. Sono nata. Se mia madre non mi avesse partorito, magari sarebbe stato tutto fottutamente diverso. Sarebbe stata ancora in vita . Mio padre non parliamone, è come se non esistesse. Anzi, non esiste. L'unico luogo che ho potuto definire "casa" dopo la morte di mia madre e successivamente quella del suo migliore amico, è l'orfanotrofio. Quel cazzo di orfanotrofio che è diventato il mio inferno. Nessun abuso psicologico, tranquilli. Almeno a me no. Gli altri... sono tutti delle pedine che vengono spostate a piacimento dal signor Thomson, il nostro direttore. Eppure, le sofferenze inflitte a loro è come se venissero inflitte a me. Mi odiano tutti. Dal primo all'ultimo. Il signor Thomson mi considera come una figlia, mentre io lo definisco un mostro. Perché lo è. Ho un unico amico lì dentro, Jayden. Il mio migliore amico. Se dovessi regalare la mia vita a qualcuno, la darei a lui. Ma torniamo al signor Thomson. Dicono che gli occhi sono lo specchio dell'anima. I suoi, invece, sono dei pozzi pieni di bugie e falsità. Ogni volta che mi guarda con quel luccichio e quel desiderio, dopo essersi fatto di chissà che cosa, sento lo schifo su di me e il vomito mi assale da dentro. Le sue carezze alla guancia, alle braccia, al collo... mi fanno venire i brividi. Lui pensa siano per l'eccitazione, ma in realtà sono per l'orrore. È successo una volta. Si è avvicinato a me, da dietro. Non lo avevo sentito mentre mi asciugavo i capelli con un solo asciugamano ad avvolgermi il corpo. Mi sono accorta della sua presenza solo quando mi ha lasciato un bacio lascivo sul collo, sotto la mascella. Mi aveva afferrata per i fianchi e mi aveva immobilizzata contro il mobile del bagno mentre spegneva in un secondo il phon. Non riuscivo a muovermi a causa del suo respiro a un millimetro dalla mia pelle. Con la mano tremolante avevo preso la sua, appoggiata sul mio basso ventre, con l'intento di toglierlo da lì ma lui mi aveva stretta ancora di più a sé. La paura si era impossessata di me e sono rimasta immobile per tutto il tempo. Tutto il cazzo di tempo. Inutile dire che l'ha fatto altre volte. 'Non farlo, non ne vale la pena'. Mi hanno detto questa frase quando volevo denunciarlo. Volevo sbatterlo dentro il carcere ma me l'hanno impedito. Sua moglie me l'ha impedito. Mi ha detto che avrei vissuto insieme agli altri bambini in cambio del silenzio. Avevo quindici anni e ovviamente ho accettato senza pensare. Da quel giorno, la mia vita passa tra le mura di questo edificio enorme e spoglio, con il signor Thomson che mi tratta come una figlia. Come una figlia. Non è semplice qui. I bambini e i ragazzi di questa comunità non sono delle persone normali. Il loro passato è particolare e diverso da quello degli altri al di fuori di questo cancello. E voi direte «Dite sempre così voi orfani». Lo so, ma di fatto non posso farci niente, è la verità. Sono entrata qui dentro all'età di otto anni. Sono stata accolta da un gruppo di bambini della mia età e dal signor Thomson. Quest'ultimo mi aveva sorriso con gli occhi sorridenti e mi aveva coccolata come se fossi un qualcosa di prezioso. Come se non fossi rotta in mille pezzi. Invece i bambini mi hanno sorriso freddamente, mentre uno di loro mi prendeva la valigia piena di oggetti personali. Un altro non mi aveva neanche calcolata. Non aveva neanche girato lo sguardo verso di me, neanche un volta, neanche per sbaglio. Me ne sono fatta una ragione. Non ho mai ricevuto insulti o prese in giro da loro, come se fossi intoccabile. Solo sguardi d'odio. Li comprendo. Ero l'unica a non essere maltrattata dalle autorità di questo orfanotrofio, mentre loro subivano abusi di ogni tipo. Ma quelle sofferenze era come le infliggessero anche a me, che costringevano a guardare quelle torture spietate. Sono ancora qui. Jayden è ancora qui, l'unico ragazzo che mi si è avvicinato senza pregiudizi. Donavo tutto a tutti per dimostrare che io non ero una bambina che si divertiva nel vedere gli altri soffrire. Ero una stupida. 'Non farlo, non ne vale la pena'. Mia madre è forse l'unica che ritengo una donna degna di essere definita tale. Forte, intraprendente, senza peli sulla lingua ma pur sempre delicata e dolce. La mia salvezza. Mi sono affezionata troppo a lei, però, perché è andata via per colpa mia. Per colpa della mia voce. 'Non farlo, non ne vale la pena'. Quindi oggi mi ritrovo qui, a ripensare a come la mia vita sia andata a rotoli dalla mia nascita fino ad adesso. Vado in camera mia, riempio un bicchiere d'acqua e la finisco in poche sorsate. Osservo fuori dalla finestra il mondo esterno, separato dal nostro. Dal mio.

'Non farlo, non ne vale la pena'.

Promise-noi e nessun altroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora