Prologo

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Un anno prima della tragedia

«Laia, cosa vedi?» gli occhi di Flor, di solito di un marrone brillante, sembravano essersi spenti a quella domanda, sussurrata quasi sottovoce per la paura che una mia risposta affermativa potesse essere decisiva per l'esito futuro. Era spaventata, gli occhi sgranati e il viso pallido, dalla quale scendeva una goccia di sudore evidente perfino a quella distanza. Sospirai. Il mio sguardo vagava su quelle lame, sette per la precisione. In fila, ben sistemate e stese alla perfezione. Osservavo quelle figure con un cipiglio, il volto era talmente contratto da sentire perfino la fatica per lo sforzo dei muscoli. La cartomanzia era un'arte del tutto particolare. Un cartomante che si rispetti, era in grado di vedere anche oltre ai tempi stabiliti e il più delle volte i tarocchi non davano mai interpretazioni errate. A sbagliare era chi le leggeva. Ma non io. Io non avevo mai ceffato una previsione.

Nella mia cultura era normale leggere le carte. La mia bisnonna aveva tramandato il suo potente dono a quasi ogni membro donna della famiglia, era raro che gli uomini gitani si dilettassero nell'arte della cartomanzia. Era una credenza radicata: la donna era più empatica, di conseguenza più capace di vedere ciò che loro volevano dirle. La dea Sarah, per contro, donava il suo potere solo alle persone di sesso femminile. Il mio mazzo di tarocchi non lo avevo acquistato. Mi era stato da mia madre, che a sua volta le era stato dato dalla sua, che a sua volta lo aveva ricevuto dalla mia Bisnonna. Era un circolo vizioso. Quel mazzo di tarocchi era parecchio antico, di conseguenza aveva sorbito parecchie energie prima di abituarsi alle mie. Avevo diversi mazzi, ma quello lo utilizzavo solo per delle letture più complicate, il mio dono veniva amplificato da esse e tramite loro riuscivo a tirare fuori un'intuizione pressoché precisa.

«Laia?» la voce della mia amica mi riportò alla realtà. Lei non era nomade, di conseguenza di tanto in tanto veniva a trovarmi al campo per passare del tempo insieme. Non sapevo esattamente come fossimo finite a leggere i tarocchi. Solitamente, non apprezzavo fare delle letture per me stessa ma lo avevamo fatto un po' per gioco. Un lucro che si era invece rivelato parecchio interessante e spaventoso.

«Mh?» scossi il capo, sotto i suoi continui sospiri. Osservava le lame come se ci capisse qualcosa, ma sapevo già che non era così e forse, avrei preferito che ne compresse almeno un minimo così da avere un confronto su quanto ne era venuto fuori. Purtroppo, avevo perso mia nonna e mia madre. Mia sorella, di appena sette anni, era ancora troppo piccola per essere istruita nell'arte divinatoria. Anche se ne sembrava parecchio interessata.

«Si può sapere cosa hai visto in questa stesa? Sei impallidita» ottima domanda. Avrei solo dovuto trovare un modo per spiegare perché effettivamente fissassi con orrore l'arcano numero tredici. Quel numero, nella cultura gitana, non portava mai a nulla di buono e molto spesso dai nostri veniva perfino evitato. Alcune famiglie ne erano così ossessionate da non festeggiare nemmeno il tredicesimo compleanno dei loro figli. Nella carte non era negativo, almeno non sempre. Tutto dipendeva da cosa aveva vicino. «Provo a capirci qualcosa da questi disegni ma percepisco la confusione assoluta e tu non mi sei per niente d'aiuto. Ti conosco, lo vedo. So che è una lettura per te stessa ma almeno mi metto il cuore in pace e mi preparo a una tua probabile disgrazia!» lo disse quasi scherzando e da un lato sperai davvero che, se fosse realmente successo ciò che loro mi stavano dicendo, avrebbe potuto prendere la cosa con più leggerezza. Le carte, dunque, erano chiare e non c'era spazio ai dubbi o a false interpretazioni per cambiare il risultato di esse.

Il destino, del resto, era qualcosa di segnato per tutti noi e tentare di cambiarlo era pressoché inutile. Spazientita, Flor sbuffò pesantemente e batté le dita sul tavolo della mia carovana. «Allora, ti sei decisa o no a dirmi cosa diamine ci hai visto?» alzai lo sguardo. I miei occhi smeraldo si posarono sui suoi e l'ombra del terrore attraversò per un breve momento le mie iridi.

«Ci ho visto la morte».

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