Capitolo 29

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Era trascorso altro tempo

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Era trascorso altro tempo. Le piogge avevano smesso di cadere, le rondini erano passate e volate via di nuovo e l'aria si era fatta umida, ancora. La compagnia di Tara era divenuta una piacevole sorpresa, tranne quando ricordavo cosa si stesse celando nel suo ventre rigonfio. Le si illuminavano gli occhi ogni volta che parlava di quella creatura dentro di sé, come se potesse essere qualcosa di speciale. Beh, da un lato lo era, ma rimaneva pur sempre un qualcosa che andava contro le leggi della natura, proprio come lei. Non trascorreva giorno in cui non le domandassi se fosse stata capace di contattare qualcuno dei miei, qualcuno in grado di aiutarmi a fuggire da quella prigione. Le torture erano divenute così intense che persino il respirava faceva fatica a tornare normale, proprio come i miei arti che avevano rallentato la crescita. Ero certo, che prima o poi, il mio corpo si sarebbe arreso ancor prima della mia speranza e avrebbe cessato di vivere anche la sua triste esistenza. Lei, a ogni domanda, irrigidiva i muscoli del corpo e scuoteva la testa e così, qualcosa dentro di me si spegneva ancora una volta.

Nel buio della prigione tentai di muovere le dita della mano. Formicolavano e si muovevano appena, ma era normale, dopotutto erano ricresciuti da poco tempo. Digrignai i denti e serrai le mani in due strettissimi pugni che iniziai a battere con forza sul freddo pavimento della stanza. Odiavo tutto. Odiavo le Sorelle, la mia prigionia e la bestia che ero diventato. Sì, ero divenuto un animale. Non mi sarei stupito se pur di ottenere la libertà avessi ucciso qualcuno a me caro o mi fossi schierato dalla parte del nemico per ottenere un solo giorno che non fosse stato rinchiuso in un sigillo del cavolo. Quella donna mi aveva privato di ogni cosa... Improvvisamente udii la porta aprirsi e alcuni passi riecheggiare nell'oscurità. Drizzai la testa verso l'ingresso, il respiro quasi trattenuto, il cuore scalpitante nel petto. La chioma platinata comparve davanti ai miei occhi, legata in malo modo in uno chignon spettinato. Tara avanzò verso di me, stringendo tra le mani qualcosa che non riuscii a vedere chiaramente. Era pallida, più del solito e gli occhi erano contornati da profonde occhiaie violacee, come se da tempo avesse rinunciato al sonno.

«Sei venuta anche questa sera. Pensavo che la marmocchia ti occupasse il tempo.» Cercai di apparire più rilassato del solito, ma sapevamo bene entrambi che non lo ero affatto. La prigionia mi aveva indebolito e il mio aspetto ne era un'evidente prova. Non avevo specchi in cui riflettere il mio aspetto, ma riuscivo a capirlo da come Tara mi guardava, da come le sue labbra si assottigliavano fino a svanire o come il suo sguardo dolce e sorridente si trasformava in qualcosa di teso e preoccupato. Lei mi guardò, senza emettere una sola sillaba.

«Com'è che l'hai chiamata?» Continuai, tentando di muovere la mano. Le sue visite si erano fatte meno frequenti da quando aveva meso al mondo quella bambina, ma ciò che mi aveva colpito era il fatto che era tornata dopo la nostra discussione della sera precedente. Lei non aveva contattato nessuno dei miei. Per anni non lo aveva fatto e, nonostante ciò, si definiva una mia alleata.

«Sei molto restio nei miei confronti, Shen...»

«Non dovrei?»

«Mi hai vista crescere.» Non potei fare a meno di notare le sue labbra sollevare un angolo verso l'alto, come se non avesse apprezzato affatto la mia schiettezza.

Shen-L'ombra del dannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora