Epilogo

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La teiera sul fuoco fischiò con arroganza, facendomi sobbalzare davanti alla fredda vetrata della cucina

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La teiera sul fuoco fischiò con arroganza, facendomi sobbalzare davanti alla fredda vetrata della cucina. Il mio riflesso smagrito e pallido si rifletteva appena sul vetro, ma non mi importava di vedermi, era l'ultimo dei miei pensieri. Guardai un'ultima volta fuori. Il cielo era ricoperto da nuvoloni grigi e biancastri che rendevano la vista priva di colori vivaci e accesi. Gli alberi davanti casa avevano perduto le foglie e l'aria si era fatta così umida che neppure gli uccellini desideravano mostrarsi per rallegrare il mondo con i loro cinguettii. Sembrava che tutto si fosse spento da quella notte, esattamente come me. Lo rivedevo in ogni sogno. I suoi occhi ambrati scintillavano nell'oscurità, mi sorrideva e mi porgeva la sua calda mano per portarmi tra le sue braccia e io glielo lasciavo fare, poi la consapevolezza di non riuscire a percepire il suo calore si faceva strada in me. Non sentivo il suo profumo, la sua risata che scuoteva il mio petto o i brividi che i suoi baci scatenavano in me, perché lui non c'era più.

«Accidenti, Juno! La teiera fischia!» Soraya entrò in cucina a passo svelto, dirigendosi verso i fornelli e spegnendo quel fastidioso suono. Mi voltai appena a guardarla e sistemai la felpa che era scivolata lungo le braccia.

«Ero sovrappensiero» le risposi. L'anziana lasciò scivolare gli occhi vitrei sulla mia figura e sospirò. Non disse niente di scomodo, avevamo già affrontato quel discorso. Il suo dono le consentiva di scrutare l'anima delle persone e nella mia aveva già scavato in fondo.

«Non ho trovato Ivory nella sua stanza, sai dove potrebbe essere andata?» mi chiese perplessa poggiando sul tavolo la teiera calda. Scossi la testa. Non ne avevo la più pallida idea.

«Non appena avremo abbastanza soldi per permetterci un bilocale, ti lasceremo in pace, promesso» sorrise. Ivory e Soraya avevano deciso di restare nella mia città. L'anziana era riuscita a procurarsi un monolocale, ma Ivory si era rifiutata di lasciarmi da sola e quindi le avevo ceduto la camera degli ospiti e dato a Soraya la copia delle chiavi per poter andare e venire a suo piacimento. La donna non se lo era fatto ripetere due volte e quotidianamente veniva a verificare che entrambe fossimo in perfetta salute e vive. Apprezzavo moltissimo la loro presenza nella mia vita, dal sostegno psicologico che mi fornivano, all'aiuto economico che davano gestendo la mia libreria.

«Mi fa piacere che Ivory stia qui e che tu ci faccia visita. Davvero.» Le risposi fiocamente. L'anziana versò una tazza di tè e si sedette comodamente al tavolo. Il mio sguardo scivolò appena sul mio polso, dove qualche me prima si ergeva fiera la runa dell'affidabilità. Sentii gli occhi pizzicare quando mi resi conto che la mia pelle era intatta, immacolata, come se niente l'avesse mai sfiorata. Anche quel passaggio di lui nella mia vita era svanito.

«Juno, bambina mia...»

«Non dirlo, Soraya. Non farlo, renderesti le cose ancora più complicate.» Non le diedi il tempo di ribattere. Afferrai la giacca e la sciarpa e mi diressi alla porta di casa.

«Dove stai andando?» Mi chiese la donna cercando di raggiungermi. Spalancai la porta sentendo il petto comprimersi per il dolore. Dovevo uscire, dovevo raggiungere il mio posto speciale.

Shen-L'ombra del dannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora