XXIV • VALE

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«Sei strana» mi dice Corvus mentre, insieme a Silia, discendiamo lungo il Pendio.

Siccome, al momento, utilizzare il solito sentiero gli è sembrata un'opzione poco sicura, Corvus ci ha convinte a inaugurare un percorso alternativo, guidandoci in questa incantevole escursione fatta di arbusti spinosi, crepacci, improperi e disperazione.

«Meglio strana che orribile».

«Si può essere strani e anche orribili. Non è che una cosa escluda l'altra. Anzi».

«Sì, grazie» rispondo, senza distrarmi, perché, da quando ci siamo incamminati, non riesco a scollarmi di dosso la sensazione incombente che mettere un piede in fallo possa condurmi alla morte.

«Oggi, comunque, sei meno orribile che negli ultimi giorni» aggiunge, sfrondando con il suo bastone il fitto groviglio di rovi che ci sbarra la strada.

«È perché è finalmente riuscita a dormire un po'» risponde Silia, al posto mio.

«Sì, ma poco e molto male» preciso. Perché avevo intenzione di aspettare Settimo, prima di concedermi il lusso di riposare. Ma, dopo ore di attesa, ho ceduto prima che tornasse. E, a dire il vero, non è tornato neanche adesso. O, per lo meno, non era ancora tornato quando io, Silia e Corvus abbiamo lasciato il comitium per dirigerci al Lupercale. Questo è il nome che Corvus ha dato alla grotta con la lupa.

Ma, comunque, non è stata solo l'attesa a levarmi il sonno. No, sono stati anche i pensieri.

«Non avremmo fatto meglio a usare il solito sentiero?» domanda Silia.

«No, finché non sappiamo come evolverà la situazione alla Suburra» borbotta Corvus, per poi interrompersi bruscamente quando il suo preziosissimo bastone si schianta contro qualcosa di duro. «Cosa cazzo ho colpito?»

Fa un paio di rassicuranti carezze al bastone, poi infila le mani in mezzo alla barriera di sterpaglie davanti a noi e riesce, con parecchia fatica e moltissime imprecazioni, ad aprire un varco.

«Aspetta, fammi vedere» dice Silia, e mi si schiaccia addosso nel tentativo di oltrepassarmi in quello spazio strettissimo.

Le fronde degli alberi, qui, sopra di noi, formano una volta verde che lascia filtrare solo pochi raggi di sole.

«Per la miseria» dice Silia, carezzando con le mani graffiate quella che ha tutta l'aria di essere una colonna antica. È crollata e ricoperta di muschio ma le sue elaborate decorazioni sono ancora visibili, nonostante l'erosione del tempo.

«E guarda qui» la esorta Corvus che, intanto, sotto uno spesso strato di foglie, ha scoperto un pavimento a mosaico. Si china per spazzare via i detriti con le mani, rivelando ciò che resta di un complesso disegno geometrico. «Sono le rovine di una domus arcaica».

«Riconosco questo posto» dico, sfiorando con la punta delle dita quella che, un tempo, doveva essere stata una maestosa colonna ma che, adesso, giace al suolo sdraiata su un fianco. Sì, riconosco questo posto. Perché questo è il posto in cui io e Nerva, da bambini, ci intrufolavamo per osservare le stelle del Vero Cielo.

«Anche io» mi fa eco Silia. «Sono le rovine della Domus Augustea».

«Delizioso» annuisce Corvus che, dopo un primo momento di stupore, ha ricominciato a sfruculiare lo sterpame davanti a lui. «Proseguiamo?»

«Qui la vegetazione è troppo fitta, Corvus» gli dico. «Proviamo a scendere per di là».

«Per di là c'è un burrone» mi contraddice Silia. «L'ho visto prima».

«Allora dobbiamo tornare indietro» concludo, mentre lui continua a menar fendenti come se decespugliare questo sentiero fosse la missione con cui è venuto al mondo. «Quando Corvus sarà arrivato alla risoluzione del suo conflitto personale con la sua fratta».

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora