Capitolo 7

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Quella notte rimasi da lui.

Gli occhi si aprirono nel vedere la prima luce del giorno. Mi girai dal suo lato. Il lenzuolo bianco lo copriva fino all'ombelico. La luce della finestra colpiva il suo profilo, mettendolo in risalto.  I capelli scompigliati, che toccai per tastare la loro morbidezza. Percorsi con la punta dell'indice la fronte, quel naso stupendo, fino ad arrivare ai baffi, le labbra, il mento.

"Smettila, o ti prendo di nuovo", disse con voce roca senza aprire gli occhi.

Mi scapò una piccola risata. Era stato favoloso quella notte.

"Non può agente Pascal, dobbiamo andare al lavoro", dissi succhiando il lobo del suo orecchio. Gemette.

"Finiscila... non farmelo ripetere", si girò verso di me e mi accarezzò la guancia con le nocche. Prese il mento tra le dita e schioccò un bacio sulle mie labbra.

"Alziamoci, devo vestirmi e tu ritornare all'appartamento. Non azzardare a presentarti in centrale con quel top senza reggiseno", mi avvertì con sguardo sottile, ma accompagnato da un sorriso malizioso.

Lo raggiunsi dall'altra parte del letto, dove si era messo a sedere. Ero ancora nuda.

"Altrimenti? Oh sì, l'agente Pascal potrebbe scoparmi al lavoro", lo baciai piano sulle labbra.

Mi cinse la vita con le braccia muscolose e mi tuffo sul materasso, coprendomi appena col suo corpo.

"Non scherzare o lo farò davvero". Sentii la sua erezione premere sulla gamba ed i miei occhi mi tradirono.

La sua mano destra percorse il mio corpo, sul seno, sul fianco e giù, fino al ginocchio. Con leggera pressione mi aprì la gamba, accarezzando l'interno coscia e sussultai quando percepii strofinare le sue dita sul clitoride. Con la mano sinistra afferrò i miei polsi, immobilizzandoli sul materasso sopra la mia testa.

"Non ti muovere", mormorò con aria seriosa e così feci. Respiravo affannata e affamata della sua mano; insinuò un dito dentro, piano ma fino in fondo, mentre col pollice continuava a stuzzicarmi. Poi le dita divennero due. Sentii il calore colpirmi.

Faceva entrare e uscire le grandi dita e le piegava, toccando il punto di piacere estremo. Inarcai la schiena, la sua bocca vagava sui miei seni, sul mio collo. Mi leccò piano la mandibola fino al mento mentre mi scopava con le dita che presero velocità, per poi fermarsi ed iniziare a roteare.

Brividi di piacere si impossessarono del mio corpo che a tratti fremeva per i piccoli spasmi al basso ventre.

"Oh Karen, sei tutta bagnata... mi vuoi? Vuoi che ti faccia venire?"

A questo punto lo guardai con gli occhi spalancati ed i suoi erano colmi di lussuria. Annuii. Quel suo dannato sorriso si fece strada sotto i baffi.

Il suono della sveglia arrivò ovattato alle mie orecchie che non percepivano altro che il rumore appiccicoso delle sue dita nel mio centro del desiderio.

Spingeva sempre più veloce con le sue grosse dita, battendo il palmo contro il clitoride e venni contro la sua mano in un fortissimo orgasmo.

Mi sorrise, soddisfatto, nel guardare il luccichio che ricopriva la sua mano e si abbassò tra le mie gambe. Sentii la sua lingua leccarmi lentamente, una volta, dove ancora pulsava, per assaggiare i miei umori.

"Dobbiamo andare", disse prima di lasciare un bacio sulle mie labbra gonfie.

***

"Johnson, Wilson, bel lavoro". Il capo Lopez stava parlando ai colleghi. Dopo sarebbe toccato a noi aggiornarlo. Avevo le mie relazioni tra le mani per consegnarle.

Io e Pedro stavamo attendendo fuori, appoggiati alla scrivania di fronte. Ero alla sua sinistra. La sua mano teneva il bordo della scrivania e non riuscivo a staccare lo sguardo da quelle dita che poco prima mi avevano dato piacere.

Quel tatuaggio evocava la dea lussuriosa che era in me.

"Prego!", la voce di Lopez mi destò dal guardare la mano del bruno che mi era accanto.

"Signore! Ecco i miei rapporti", dissi.

Pascal tossì in modo malizioso, che solo io potevo intuire, e lo guardai di sbieco.

"Bene Miller. Pascal, so che lavorate di continuo, anche di notte se necessario. Al momento siamo ad un piccolo stallo. Se non abbiamo nuove informazioni con dettagli utili, non ci resta altro che far capo agli informatori. Martellateli. Devono scoprire più cose possibili", ordinò. "Ma prima, dovete interrogare i trasportatori del carico ed inviare immediatamente i rapporti all'ambasciatore".

Ci dirigemmo ai locali per procedere.

"Porca puttana, finirai dietro le sbarre. Non ti importa?" disse Pascal ad uno dei due che avevamo sotto torchio da un paio di ore, ma non si azzardava a parlare. Gli avrei voluto tirare un pugno in faccia. Era lo stronzo che mi aveva sparato.

"Fuck You!" sputò a terra in segno di protesta.

Scattai dalla sedia, ma Pedro mi trattenne.

"Pezzo di merda ti farò marcire in prigione", gli mollai uno schiaffo pesante, facendolo sanguinare dal naso.

"Portatelo via!" ordinai alla guardia. La porta si chiuse alle nostre spalle e restammo da soli.

"Cazzo agente. Dovremmo scoprire se ha una famiglia, ricattarlo".

"Niente, già controllato, non parlerà mai", sferrò un pugno sul tavolo di metallo ancorato al pavimento. "Li scelgono di proposito. Se vengono arrestati, prima o poi li fanno fuori, da dentro".

Facemmo le nostre telefonate ai vari informatori e ci mettemmo alle rispettive scrivanie.

D'un tratto squillò il telefono fisso di Pascal. Rispose e riattaccò subito. Mi avvicinai a grandi falcate.

"Dove vai?" chiesi a bassa voce, chinandomi appena sulla scrivania.

"Aida", rispose senza nemmeno guardarmi.

"Cosa? Te la scopi in cambio di informazioni vero?", dissi con i denti serrati e un finto sorriso, guardandomi intorno.

"Ma... non ne voglio parlare. Devo andare."

"Ok! Vada agente Pascal!", feci il gesto con la mano.

Si girò a guardarmi e prese il suo giubbotto di pelle marrone ed io mi voltai di spalle.

Bastardo.

Dopo qualche minuto Jack si avvicinò alla mia scrivania.

"Karen, come vanno le indagini con Pascal? Sei stata lì tutta la notte...", chiese.

"Abbiamo lavorato. Le intercettazioni sono tutte relazionate e consegnate già a Lopez". Informai.

"Ah... ok" disse senza andarsene.

"Johnson ti serve qualcosa?", alzai un sopracciglio e mi appoggiai allo schienale della sedia.

"Ti volevo chiedere una cosa. Stasera io, Wilson ed una sua collega andiamo a cena fuori, vuoi venire?", chiese con leggero imbarazzo. Era un omone grande e grosso, ma a volte sembrava un ragazzino.

"Certo! Mi farà bene svagarmi un po'".

"Bene, ci vediamo a casa". Batté un colpo di commiato sulla scrivania e si rimise alla sua postazione.

Non avevo accettato per ripicca e non volevo far credere alcunché a Jack, volevo solo trascorrere una serata in compagnia.

AMOR LOCODove le storie prendono vita. Scoprilo ora