3. Metafore malcelate

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Isabelle

Oggi è giovedì, penso dopo aver aperto gli occhi. Stanotte non ho dormito molto e io so bene il motivo mentre fisso l'armadio posto proprio accanto al mio letto. Una fioca luce entra dalle tapparelle che di proposito ho lasciato semiaperte ieri, forse già consapevole del buio soffocante nel quale avrei cullato me stessa durante il mio riposo.

Non voglio andare a quella festa, l'ansia mi ha soffocato fin da lunedì sera subito dopo essere rimasta sola nella mia stanza. È chiamala così Isabelle, abbi il coraggio di non nasconderti dietro qualsiasi metafora oggi, perché è qui accanto a te e se fosse solo lei l'unico nemico magari le cose non sarebbero così catastrofiche.

So cosa starete pensando quanto la stai facendo lunga, sei così esagerata, sei così lagnosa, sei così sciocca da non riuscire a goderti neanche una cosa così semplice. Ma come potrei? Quali parole potrei usare per descriverti il mio respiro soffocante al solo pensiero di entrare in una casa che pullula di persone che non conosco. Le mie mani tremano alla sola immagine di me in un salone a fianco di ragazzi pronti e veloci come serpi a mordermi, a ferirmi con le loro fauci.

Mi giudicheranno

Mi umilierò da sola se andrò a quella festa.

Vorrei vedere la gioia che vedi tu, vorrei darti ragione e credere che il mio sia solo un capriccio, ma ti prego, abbi pietà di me. 

Non è colpa mia.

Mi alzo dal letto, consapevole della faccia stravolta che osserverò allo specchio questa mattina prima di entrare direttamente in doccia. Mi sforzo a truccarmi e bere un goccio di caffè, i miei movimenti sono lenti e meccanici anche quando mi trucco. Cerco di ritardare la mia uscita da questa stanza, spalanco la finestra rifaccio il letto e riprendo Jane Eyre dal comodino. Leggo per almeno una mezz'oretta senza neanche accorgermi del tempo che passa e quando mi rendo conto di essere quasi in ritardo mi vesto: felpa larga, solito jeans consumato e trench beige, oggi ho bisogno di coprirmi.

Con le cuffie fra le orecchie e Taylor Swift a tutto volume mi dirigo verso la biblioteca, questa mattina non avrei avuto lezione ma ieri sera Joe e Kellie hanno proposto di studiare insieme e non saprei come ringraziarli per averlo fatto. Sarei rimasta in caso contrario a crogiolarmi fra le lenzuola e maledirmi per non essere ciò che più desidero.

Mi siedo su una delle panchine all'entrata mentre osservo il paesaggio intorno a me, amo il mio Campus, amo il fatto che sia immerso nel verde lo rende quasi poetico ai miei occhi. La struttura della biblioteca è molto bella, dentro nulla di magico ma forse sarà il grande prato in di cui si trova circondata a darle un aspetto così magnetico. La quercia posta di fronte a me è sempre la meta preferita di molti, sono in tanti a sdraiarsi al sole durante la giornata ma io non ne ho mai avuto il coraggio. Mi vergogna troppo il pensiero di sdraiarmi a terra fra tutte queste persone, ma non sono dello stesso pensiero i ragazzi che sgorgo da lontano avvicinarsi a passo spedito con un bicchiere di Starbucks in mano. Raccolgo velocemente la mia borsa prima dell'arrivo di questo gruppetto, sperando non possano fissarmi troppo, oggi non è giornata. 

Mi sembra intravedere di sfuggita fra loro il famoso Travis ma sono troppo lontani e non distinguo bene da qui. D'altra parte, appaiono tutti uguali da qui: alti, allenati, e fastidiosamente belli. 

Aspetterò Joe e Kellie dentro.

Dopo solo mezz'ora di studio, solo mezz'ora cari amici io, Joe e Kellie decidiamo di alzarci per prendere una meritatissima pausa che probabilmente sarebbe durata un'ora.

«Ci voleva proprio una piccola pausa all'aria aperta» afferma Joe mentre si sgranchisce le gambe sedendosi subito dopo a peso morto sulla prima panchina libera che abbiamo trovato a fianco al bar posto nelle vicinanze della biblioteca

La Principessa Di FangoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora