1.33 ● QUANDO INCONTRAI I MIEI GUAI

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«Secchione ha peggiorato le cose.» Lo specchio del bagno della scuola rifletteva il mio viso e quello di Janine. Il suo sottile e scuro e il mio tondo e pallido.

Il volto di Janine apparve all'angolo dell'occhio. «Voleva difenderti. Io credo che dopotutto abbia fatto bene.»

«Certo, come no. Dall'altro giorno ho l'armadietto scassato, puzza di letame e ho dovuto ricopiare gli appunti farciti di formaggio. Il tutto perché quei tre hanno ricevuto un ammonimento.»

Janine sospirò. «E dall'altro giorno non si vede più Sean. Non risponde nemmeno al telefono.»

Guardai gli occhi di Janine sul riflesso dello specchio e mi appoggiai sulla sua spalla. «L'altro giorno, mentre mi chiudeva in quel ripostiglio, mi ha detto che lo avevano minacciato di rompergli qualcosa.»

Lei infilò la mano tra il mio braccio e il fianco. «Sì. Christopher Davison, un ragazzo di un'altra scuola che ci provava con una ragazza che piaceva a Brad. Lei aveva dato buca a Brad ed era uscita con Chris. Nella partita di football tra nel nostre scuole, durante un placcaggio lo ridussero veramente male. Lo portarono fuori in~» Janine scattò all'indietro e mi guardò. «Aspetta un attimo...» fece schioccare il medio e il pollice.

Trattenni il fiato. «Cosa?»

«Mi è venuta un'idea, ma mi ci vorrà un pò. Intanto è meglio che torniamo nelle nostre classi.»

Mi prese per mano e spinse la porta d'uscita del bagno. Lì davanti ci fermammo.

C'era Sean. In quel momento capii il perché non l'avevamo visto negli ultimi due giorni. Un livido viola gli colorava la guancia sotto lo zigomo sinistro e aveva un cerotto dalla parte opposta, in alto, sopra il sopracciglio. Ansimava e sulla tempia aveva una goccia di sudore. Potevo immaginare cos'era successo.

Mi fissò a lungo, alla fine riempì i polmoni e aprì la bocca. «Scusa. Scusami Juno. Non volevo spaventarti. Lo sai che loro... Loro poi mi...»

Lo abbracciai. «Ti hanno picchiato lo stesso. Sono degli stronzi. Dei vigliacchi.»

Le sue mani si appoggiarono sulle mie costole. «Sono una merda, sono io il vigliacco, scusami.»

Gli passai un pollice sul cerotto. «Sei stato coraggioso lo stesso.»

Janine si avvicinò. «Nessuno dirà che sono stati loro. Quando te l'hanno fatto?»

Sean deglutì e si portò la mano alla testa. «L'altra sera dopo che sono rientrato dall'allenamento serale di basket. Una bella imboscata, anzi, una mascherata.» un risolino isterico accompagnò la sua battuta poco felice. «Io contro dei personaggi anonimi, Non c'erano testimoni.»

Controllai il resto del suo corpo, aveva qualche graffio sulle mani. «Ma i tuoi genitori? Hanno detto qualcosa, o no?»

Piegò la bocca in giù e fece di sì con la testa. «Mio padre mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto "finalmente hai tirato fuori gli attributi, figliolo. Hai dimostrato che non sei un frocetto".» Gli occhi gli diventarono lucidi.

Lo affiancai e camminammo verso l'aula di matematica. «Quindi i tuoi proprio non lo accettano?»

Juliet sbuffò. «Ti ricordo che sei nella repubblicana Florida. Forse un giorno persino la parola "gay" sarà bandita.»

Guardai in giro le decine di compagni che per motivi che non comprendevo, erano obbligati a subire da tre stronzi. E il preside non faceva niente, perché c'erano di mezzo i soldi.

Prima di andare a casa passai davanti all'armadietto. Il battente era fuori di mezzo centimetro, lo aprii e una cascata di bicchieri usati mi ricoprì i piedi. In mezzo, cerano dei biglietti. 'Cenere alla cenere, immondizia all'immondizia.' Aprii la bocca, presi molta aria e poi sbuffai, sputai fuori il peso di quella vista, e afferrai iil cesto lì vicino. Versai tutto lì dentro. «Dovete stare qui, voi.» Li sgridai ad alta voce, sperando di crederci.

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