Battlefield

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Avanzo sostenendomi con la spada. Quanto manca alla capitale?

Oltrepasso una duna. Diversi corpi giacciono sulla sabbia, le loro divise son tutte incrostate di sangue. Sono miei sudditi o soldati nemici? Mi chino, metto una mano nella sabbia e scivolo giù per il pendio trascinando la spada. Il piede picchia contro qualcosa e ruzzolo nella sabbia.

Fanculo. Sputo un po' di sabbia e mi metto a sedere. Cosa era?

Un elmo splende ai miei piedi, ecco spiegato l'arcano. La spada non è caduta lontano per fortuna, la raccolgo e conficco la punta per terra per issarmi in piedi.

Mi dirigo verso i soldati. Le carogne sono un indizio più che sufficiente: sono morti. Mi inginocchio accanto a uno e faccio passare il dito sullo stemma della divisa, seguendo le linee della cucitura. È un segno circolare, tipico dei soldati di Bastet. La sua bocca è tirata in un sorriso beffardo anche nella morte. Gli afferro il volto e lo giro di lato, sulla guancia ha tre cerchi grandi come una moneta d'oro posti secondo uno schema triangolare; la crosta è recente, troppo recente, il marchio avrà una settimana o al massimo due. Sarà uno dei trafficanti che ha fornito il nostro equipaggiamento ai rivoltosi.

Feccia.

Mi volto, un altro soldato è disteso sul fianco con una lama nera che gli sporge dallo stomaco. Mi trascino verso di lui e controllo il suo stemma, è una spada a croce. Uno dei miei. Capelli biondi e un naso aquilino, chi è? Ho la vaga sensazione di averlo visto scorrazzare per il campo. Gli sfilo l'arma dalla schiena e la butto a lato, lo stendo sulla sabbia, porto le dita agli occhi e gli abbasso le palpebre.

Padre, Figlio e santo Re. Che il nostro signore e i suoi messia accolgano la tua anima e possa tu discendere nuovamente sulla terra nel giorno del giudizio.

Cazzo. Quanti ancora ne dovranno morire per questa rivolta di merda? Non ce la faccio più...

Conficco la punta della spada a terra e mi rialzo. Intorno a me non c'è proprio nessuno che non sia scampato alla morte? Forse oltre la prossima duna avrò più fortuna.

O sfortuna.

Alzo la spada poggiandola sulle spalle, mi scrollo la sabbia dalla divisa strofinando con forza e gonfio il petto. Lo stemma con Galatine, la spada del sole, dovrebbe esser abbastanza per far scappare qualsiasi fante nemico che potrei incontrare.

Salgo sulla duna successiva e trovo un'altra accozzaglia di soldati che giace per terra in fondo al dislivello. In mezzo a loro è seduta una persona con un'armatura bianca e una spada nera. I capelli sono incrostati di sangue. Dietro di lui è distesa un'asta con una bandiera blu sporca di sabbia con al centro il simbolo di un gatto acciambellato.

Mi paralizzo. Una lama di ghiaccio sembra scendermi sulla fronte. È un nemico. E di alto rango per giunta.

Sono troppo stanco per affrontarlo senza fare un uso pesante del sistema sefirotico. Porto la mano al petto e tasto la gemma sullo sterno. Nulla. L'armatura è pure scarica. Non si è ancora accorto di me, se faccio attenzione potrei tornare sui miei passi e fare il giro lungo.

La sabbia inizia a scivolare, e il soldato alza la testa. I nostri sguardi si incrociano e spalanca gli occhi dorati. Un ragazzo. Si alza in piedi e sfodera la spada dal terreno. Ha solo un filo, e la lama è corta ma dritta. Un machete quindi la mia spada lunga ha il vantaggio.

Mi lancio verso di lui e sferro un fendente verticale.

«Ein Soph Or!»

L'energia del signore mi pervade e una leggera scossa di dolore mi attraversa il corpo. L'attivazione del sistema è andata a buon fine. Il ragazzo afferra a due mani il machete e affronta a viso aperto il mio attacco.

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