Capitolo due

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Un anno dopo...

CECILIA

Arrivo al campo trafelata, e non è da me. Io sono una persona puntuale, ma oggi ho avuto una giornata assurda, e ora ci si mette anche James. Mi ha chiamato cinque minuti fa per stare al telefono a chiacchierare, e ci è rimasto male quando gli ho dovuto ricordare che mi stavo dirigendo agli allenamenti di lacrosse. L'ho salutato sentendomi in colpa, perché non solo io sono a Cambridge e lui è a Oxford, ma abbiamo pure orari completamente diversi a lezione, quindi durante le giornate riusciamo a sentirci praticamente solo nella pausa pranzo e la sera.

Siamo separati da nemmeno tre mesi e questo è stato il periodo più difficile per la nostra relazione finora. E se prima io e James avevamo una relazione serena e bilanciata, con la distanza dobbiamo ancora ritrovare i nostri equilibri sconvolti.

Ciò che mi è sempre piaciuto della nostra storia era la leggerezza con cui la vivevamo: è nata quasi naturalmente, dopo un colpo di fulmine in piena regola da parte sua il primo anno di liceo. Siamo stati compagni di banco, amici, migliori amici e nel giro di un anno ci siamo messi insieme. Con lui ho condiviso tutte le migliori esperienze adolescenziali - e sessuali. Non riesco a vedermi insieme a nessun altro che non sia lui, e passo il tempo che siamo separati a chiedermi se anche lui si senta così.

Ultimamente, tuttavia, c'è qualcosa che non va. Forse a causa della distanza, è diventato insicuro e non vede di buon occhio che abbia deciso di praticare lacrosse. Soprattutto ha dei dubbi per il fatto che abbia scelto di entrare nella squadra mista. Trovo assurda e insana questa sua gelosia. Non me la sono sentita di dirgli che mi è capitato di provare attrazione anche per le donne e che dunque se avessi intenzione di tradirlo non ci sarebbe alcuna squadra sicura.

Il senso di colpa per non si sa che cosa colpisce ancora e decido di scrivergli per rassicurarlo che ci sentiremo non appena avrò terminato. Aggiungo che lo amo, poi ripongo il cellulare nello zaino.

Mi volto verso il campo e vedo che sono presenti solo Blaze, Carter, e Liz. Alla Coach Foster non piacerà sapere che alla prima sua assenza, più della metà della squadra non si è presentata. Sospiro ed entro nello spogliatoio per cambiarmi: indosso un pantalone termico, il reggiseno sportivo, una maglia termica e una felpa extra large che mi arriva oltre il sedere. Il freddo di dicembre comincia a farsi sentire e guardandomi velocemente allo specchio noto che la punta del naso è arrossata per la temperatura. Esco dallo spogliatoio legandomi i capelli in una coda e siccome ho troppa fiducia nelle mie capacità di multitasking, non mantengo aperta la porta come dovrei. Richiudendosi, questa mi finisce dritta in fronte.

Impreco a bassa voce e mi massaggio la fronte dolorante, pregando che non mi venga il livido; sto per raggiungere gli altri per il riscaldamento ma sento dei passi dietro di me. Mi volto e vedo avvicinarsi al campo qualcuno che non ho mai visto. Almeno credo. Ho questo grosso problema a ricordare i volti delle persone, ci metto una vita a memorizzarli, per cui spero vivamente di non conoscere questo tizio o altrimenti farò una pessima figura come mio solito. Non posso nemmeno dare la colpa all'assenza di luce perché ancora c'è il crepuscolo ed è già tutto illuminato a giorno dai fari del campo. L'ansia mi attanaglia quando mi accorgo che mi scruta come se mi avesse riconosciuto. Ma io non l'ho fatto.

Oddio, chi sei e perché mi guardi come se mi conoscessi?

È alto abbastanza da dover alzare il mento per guardarlo negli occhi mentre si avvicina, ha folti capelli scuri e mossi, sparati un po' in tutte le direzioni e un viso dai tratti marcati. Ha occhi grigi, sembrano quasi metallo liquido, zigomi alti, labbra carnose e un naso perfetto. Indossa un pantalone di tuta blu e una felpa grigia dell'Università di Cambridge e nella mano sinistra, appoggiato alla spalla, ha un borsone. Okay, è molto carino. Anzi, oggettivamente bellissimo. Probabilmente uno così mi ricorderei di averlo conosciuto. Mi fa un sorriso di circostanza mentre accorcia la distanza tra noi con lunghi passi e l'espressione corrucciata che fa subito dopo mi dà l'impressione che non sia abituato a sorridere, ma ha occhi gentili.

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