44. Il tempio di Dagan (I)

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Il viaggio per il tempio di Dagan dura due giorni. La tensione è alle stelle: ogni membro di quella bizzarra comitiva stringe un pezzo di verità che non corrisponde ai tasselli degli altri. Evianne sa qualcosa di Hondo e molto di Shadee; Hondo ha smascherato Evianne; Shadee nasconde delle informazioni sul fiore viola. Solo un aspetto li accomuna: hanno la stessa meta, un santuario che li divorerà vivi se si lasceranno distrarre dalle loro preoccupazioni.

Il tempio appare all'improvviso in una fenditura che si apre nella pietra di Rocciabuia come lo strappo lasciato da un fulmine. Non c'è nessun sentiero sterrato che vi dia accesso, solo una spianata di sabbia ferruginosa e nera. È un santuario diroccato, un fantasma che sembra essere spuntato da una fiaba dimenticata. Due colonne scrostate, seminascoste dalla roccia, ne segnano l'ingresso, si appoggiano su tre gradini che ricordano lastre di ossidiana intinte nell'olio.

Hondo attorciglia le briglie a uno sperone di roccia usando una sola mano – l'altra è rivestita d'oro – e li invita a imitarlo. Sembra sfinito, ma Evianne non commette l'errore di sottovalutarlo, non quando basterebbe una singola parola a farle saltare la copertura. A guardia alta, si sistema vicina a Shadee come una sentinella che protegge il suo re. Dovrebbe sentirsi onorata perché dall'angolazione del cappuccio capisce che anche lui la sta studiando, pronto a difenderla in caso di pericolo.

«Allora, sacerdotessa?» Hondo canticchia. «Il tuo dio invia segnali?»

Evianne lo ignora e muove un passo sul primo gradino di ossidiana, solo per essere trascinata via da Shadee.

«Resta dietro di me» le ordina.

Evianne sbuffa: non ha bisogno di essere protetta – al massimo il contrario – ma ha giurato di obbedire e non vuole litigare in un momento tanto delicato. Procede dietro di lui, la mano stretta alla sua casacca nera, e supera le due colonne scrostate. Appena entra nel tempio, la accoglie una nebbia argentea. Sa di zucchero, ma per quanto dolce, è un filtro amaro che le impedisce di orientarsi.

«L'altra volta non c'era» biascica Hondo. «La tua sacerdotessa può dipanarla, principe?»

«Non rispondergli» la ammonisce Shadee. «Resta concentrata.»

Evianne annuisce, anche se lui le dà le spalle e non può vederla, ma non riesce ad articolare un discorso complesso a parole perché si sente disorientata, come se la nebbia potesse addormentare i sensi, impedirle di essere reattiva e scattante.

«Principe» biascica con la bocca impastata. «C'è qualcosa di strano.»

Lui non risponde, eppure è lì, Evianne sta stringendo la sua casacca, allora perché non dice niente? Tenta di chiamarlo ancora ma si ferma, quando attorno a lei si accende un cerchio di mille fiaccole. La luce cresce d'intensità, la costringe ad abbassare le palpebre. Il tempo di sollevarle ed è tutto diverso.

Evianne sente un tuffo al cuore. «Shadee!» strilla quel nome che non dovrebbe conoscere e affonda a terra, sulle ginocchia.

Shadee è collassato sul fianco, è crollato all'improvviso come se un potentissimo sortilegio lo avesse addormentato, ma non è il sonno ad averlo reso incosciente, perché per quanto Evianne lo scuota e lo chiami non ottiene risposta. È come se in lui non ci fosse più nulla di vivo, nemmeno il battito del cuore.

Evianne lo strattona con tutta la forza che possiede, fa rimbalzare il suo addome sul lastricato, spera che l'impatto richiami l'anima nel corpo. Invoca Rasa, ma la dea non invia la rugiada, e quando cerca l'aura di Shadee... non la sente. La magia che lo circonda sempre, splendida e calda, è spenta.

Le lacrime affiorano agli occhi. Evianne si affretta a togliergli il cappuccio e quando lo vede resta senza respiro e speranza: il volto di Shadee è rivestito interamente d'oro.

Una storia di ali e spilliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora