Prima ancora di aprir bocca o sentir proferire qualsivoglia nefandezza da parte di Falco, è con l'atto stesso di varcare ancora una volta la soglia dell'ufficio del dottor Ferri, che Ricciardi sa di aver sancito la propria decisione.
«Deduco che la notte abbia portato consiglio.»
Al suo ingresso, Falco è colto nell'atto di togliersi il pastrano da viaggio, segno che deve essere appena giunto lì di rientro da chissà quale altro incarico. Gli occhi acuti si appuntano subitanei sulla medicazione che gli fascia il braccio e sul viso ora ripulito.
I suoi lineamenti aguzzi si screziano di un'onda impercettibile, affatto lieta, di chi non ama scorgere la minima discrepanza tra la realtà e i piani che s'è costruito in testa.
Non commenta il fatto, ma Ricciardi ha idea che il dottor Ferri passerà un brutto quarto d'ora per quella sua iniziativa. Non può dire che la cosa lo tocchi più di tanto.
Falco si toglie il cappello, scoprendo i capelli neri che s'incuneano in un picco di vedova sulla fronte, a inasprire i suoi tratti spigolosi e sottili. Più che un rapace, del cui austero nome si è fregiato, gli ricorda una donnola sgusciante, dagli occhi mobili, pronta a insinuarsi in un pollaio e a farne strage silenziosa, inebriandosi di sangue.
Ricciardi rigetta indietro nella mente gli stralci di sogno che riemergono dalla sottile patina del suo inconscio, come risacca sporca che porta a riva la lordura del mare. Camuffa una smorfia al ricordo, con la sensazione strisciante che gli si arrampica su per l'esofago, minacciando di fargli rimettere anche il poco che è riuscito a mandar giù per colazione. Si sente lurido come in quel vicolo della Sanità.
Falco gli fa cenno, d'una falsa galanteria, di sedersi sulla sedia di fronte allo scrittoio. Ricciardi declina in silenzio: avanza d'un passo, ma rimane piantato in piedi lì di fianco. L'altro non ne rimane turbato e si siede al posto del dottor Ferri. S'accomoda con ostentata rilassatezza contro lo schienale, trattandolo al pari di uno scranno. Ristabilisce così una gerarchia cara solo a lui, di cui a Ricciardi non potrebbe fregar di meno, al momento, ma che gli brucia comunque sottopelle.
«Siete dunque disposto ad ascoltare ciò che abbiamo da proporvi?»
Ricciardi si prende un singolo istante di silenzio, prima di sparare l'unico colpo che si è preparato nel corso di quella notte infinita:
«Il dottor Modo.» Ricciardi percepisce ogni singola sillaba di quel nome pungergli la lingua. «Qualunque accordo vogliate propormi, deve includere l'assoluta indennità per lui. In caso contrario, potete anche richiudermi di nuovo in cella e gettare la chiave.»
Falco lo fissa per dieci secondi abbondanti, come se stesse aspettando un prosieguo, o come se fosse affascinato da quello sfoggio di stolta spavalderia. Ricciardi sostiene il suo sguardo, conscio di essersi già bruciato qualsivoglia clemenza da parte sua; né ne vuole alcuna.
Se è vero che è disposto a tutto, pur di uscire di lì, è altrettanto vero che la sua libertà perde ogni valore, se costretto a viverla da dietro un vetro come ha sempre fatto. Quella era stata decisione sua, però, non dettata da altri.
Falco si riassesta sulla seduta, prima di schioccare la lingua in quel moto d'affettazione e sufficienza che gli urta ogni singolo nervo scoperto.
«Voi non siete nella posizione di dettare alcun termine.»
«Allora, per me la trattativa può anche chiudersi qui.»
«Siete avventato, commissario, dato che non avete ancora idea di quale sia la proposta, né se potrà farvi comodo,» sorride glaciale lui. «E avete la memoria corta, per giunta: v'ho già detto che la vostra condotta incresciosa non è di interesse alcuno per il Partito, fintantoché non porrà in imbarazzo noi o la Regia Polizia e manterrà altresì le apparenze che ci aggradano.»
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La Ruota degli Angeli
Mystery / ThrillerNapoli, 1934. Il commissario Ricciardi è alle prese con un delitto come tanti, almeno per lui che è abituato a vedere i fantasmi delle vittime con i propri occhi. Una rapina finita male, con dei dettagli che, però, non tornano. Non tornano né a lui...