1.36 ● QUANDO MI TRASFORMAI IN UN UCCELLINO

102 11 33
                                    

Entrai nella sala da pranzo in fretta, mi sembrava di essere Sean, inseguito dai tre.

Mi sedetti di botto sulla sedia che scivolò in avanti.

Janine mi sorrise. «Ben arrivata, sei di fretta? dove vai di bello?»

Mi sistemai «Lo ammetto, sto scappando dagli scherzi dei tre stronzi.» Mi sporsi attraverso il tavolo verso Janine e Juliet. «Vi prego, ditemi che gli inviti per il mio compleanno vanno bene.» Ero nervosa e entusiasta allo stesso tempo, non sapevo come sarebbe andata ma di tanto in tanto mi ritrovavo a sognare una super festa con applausi come se fosse stata una premiazione degli Oscar.

Juliet mi strizzò un occhio, complice. «Tutto bene.»

Janine invece fece una smorfia. «Sì, peccato che Dana mi abbia già chiesto tre volte se può venire. Quel ragazzo è pesante.»

Ci raggiunse anche Sean, e dalla faccia che aveva, non sembrava portare buone notizie. Di nuovo.

Janine gli fece spazio per sedersi. «Ehi, possibile che tutte le volte che arrivi devi sempre avere una faccia da funerale?»

«Ragazze, voi non ci state nello spogliatoio dei ragazzi.»

Janine sbuffò. «Me ne guarderei bene! Che cos'è successo, ora?»

Sean mi lanciò un'occhiata. «Brad e compagnia stanno minacciando mezza scuola, perché non vogliono che vengano al tuo compleanno.»

Juliet sbatté la forchetta sul vassoio, che fece un rumore di plastica rotta. «Quelli mi hanno proprio stufato!»

Janine fece una risata sprezzante. «E poi Seb vuole mettersi con me? Nemmeno se vincono il campionato di Stato. Nemmeno se rimanesse l'ultimo giocatore sulla faccia della terra.»

Abbassai la testa sul piatto di tacos. «Dovevo aspettarmelo, no?» Mi strinsi nelle spalle, gli applausi si erano trasformati in risate di schermo.

Non avevo quasi toccato cibo, ma quella cosa mi fece passare del tutto l'appetito.

Guardai la sala mensa: ragazzi e ragazze stavano mangiando intorno a me, forse alcuni di loro già erano stati minacciati, forse altri non erano interessati alle minacce, o a me. Le parole del benzinaio mi ritornarono in testa «Non sei la prima che portano qui.» E Sean, che aveva detto che c'erano state persone alle quali avevano spezzato qualche arto. Le ombre dei lividi che aveva lo dimostravano.

Non venivano mai puniti per via dei giri in polizia con Codie. E a scuola il preside ci teneva a loro, quindi, se la cavavano sempre.

Per il resto delle lezioni non feci altro che pensare a quanto quei tre mi stessero rovinando la vita, come se non fosse bastato quello che avevo passato per arrivare fin lì.

Le mie mail a papà rimanevano senza risposta e la mamma sembrava impazzita a casa dello zio.

Ero in un banco nell'angolo dell'aula, gli occhi mi si chiudevano, il professore parlava di cose che avevo già studiato con secchione.

Michael non faceva altro che chiedere cose di scuola dal giorno dello sgabuzzino.

Ma, tutto sommato, lui sembra tenerci.

Mi ritrovai a ricordare come l'avevo abbracciato, il suo profumo, il caldo del suo corpo grande e i muscoli che potevo sentire muoversi sotto il maglione.

Un piccolo batticuore mi assalì, lo stomaco galleggiò mentre desideravo di essere abbracciata ancora.

Alla fine delle lezioni mi diressi rapida e a testa bassa verso gli armadietti, tra altri ragazzi che avevano fretta di andarsene. Forzare la serratura ormai era diventata un'abitudine, ma l'anta andò a sbattere contro a qualcosa mentre lo spalancavo di scatto.

Pink SapphireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora