Capitolo 25

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Cos'era il dolore? Me lo chiedevo spesso, nonostante lo avessi provato così tante volte sulla mia pelle da continuare ad avere il suo sapore impresso nella mente. Aveva un odore ferroso, una consistenza liquida, pulsante e terribilmente fastidiosa. Lo avevo sempre sopportato, in passato, nelle precedenti evocazioni. Una volta mi era stato ordinato di strapparmi i denti, perché essi valevano più dell'oro e più della mia sanità mentale e avevo dovuto farlo. Ogni richiamo nella terra dei vivi mi aveva condotto al cospetto di una Sorella, ma mai per ordine loro, bensì per quello altrui. Capitare nelle mani di una di esse era già di per sé una prova di dolore da sopportare, ma non avrei mai creduto di arrivare a dire di non riuscire più a tollerarlo.

Il dito della mano destra cadde a terra in una pozza di sangue. Digrignai i denti e gettai la testa indietro, sperando che quel terribile fastidio terminasse alla svelta, ma non fu così. L'odore d' incenso arrivò dritto nel mio naso e annodò lo stomaco così forte da farmi sentire la bile in gola.

«Morirai un giorno.» Sibilai minaccioso sentendo una strada sensazione scivolare lungo la nuca, giù verso la schiena. Era sudore freddo quello che stava vagando sul mio corpo?

«Smettila di lamentarti, tanto ti ricrescono!» Abbassai la testa nella direzione della voce. I quel momento la stanza in cui mi trovavo iniziò a vorticare, sintomo della debolezza della mia prigionia che stava aumentando di giorno in giorno. La figura di Magdalena era davanti a me. Osservava interessata il mio artiglio nodoso e scuro, ne sembrava affascinata, come se in quel misero pezzo di carne potesse trovare verità nascoste al mondo. Aveva legato i capelli bianchi quel giorno e lasciava che la coda ondeggiasse qua e là mentre camminava verso il tavolo, dove teneva quei barattoli in vetro in cui chiudeva ogni singolo pezzo di me.

«Non ne hai abbastanza di dita, piedi e altre parti? Non ne hai abbastanza di me?» Ringhiai lasciando uscire la mia voce e mal celando la sofferenza. Sentivo già l'arto formicolare e le fibre ricrearsi intorno all'osso e, per quanto fosse vera la storia della ricrescita delle parti del corpo di uno Shen, io tenevo lo stesso a lasciarle attaccate e illese. La donna smise di sistemare i suoi barattoli e sembrò pensarci su.

«Ovvio che no.» Rispose quasi annoiata riprendendo a muovere quei vetri. La testa vorticava con più insistenza, tanto che dovetti portare la mano sinistra sulla fronte. Dentro di me ribolliva una strana sensazione di calore, come se qualcosa nel mio corpo non funzionasse correttamente. Ero debole, non avevo più energie e quelle poche che ancora possedevo, le avevo usate per tentare la fuga, ma invano. Il cerchio di Magdalena si era rivelato più forte di quanto mi aspettassi e, minuziosamente, lo rafforzava ogni giorno, per essere certa che non potessi fuggire.

«So cosa hai fatto...» Continuai a parlarle, scivolando a terra e tastando la polvere del pavimento su cui risiedevo. Lei si voltò e affilò quegli occhi di sangue su di me, feroci e meschini.

«Sembra quasi una minaccia» sorrise divertita scrivendo qualcosa su un foglietto e appiccicandolo sul barattolo contenente il mio artiglio. Mi aveva usato, aveva utilizzato il mio corpo per creare qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere e lei lo sapeva bene ed ero certo che dentro di sé si nascondesse un filo di terrore, almeno lo speravo.

«Il tuo ordine lo sa? Conosce cosa stai facendo?»

«Oggi parli troppo per i miei gusti!» Vidi appena la sua figura avvicinarsi. La testa mi venne spinta indietro e con un movimento forzato sentii la bocca spalancarsi e la mia lingua uscire fuori, come un serpente richiamato dal suo incantatore.

«Vediamo quanto ci mette questa a ricrescere» ghignò sadica afferrando le forbici e tagliandola di netto. Sentii il sapore ferroso del sangue soffocarmi e un dolore acuto avvolgermi così intensamente che fui costretto a rannicchiarmi a terra. La sua risata divertita riecheggiò nella mia mente per interi minuti, finché la stanza non divenne buia e silenziosa.

***

«Shen!» La voce di una donna mi risvegliò da quello che sembrava essere stato un lungo sonno. Sollevai appena la faccia dal pavimento e sentii qualcosa di appiccicoso rallentarmi il movimento. Guardai frastornato la pozza cremisi e densa sotto il mio corpo e subito portai le mani nella bocca, alla disperata ricerca di qualcosa che avevo perduto: la mia lingua.

«La situazione sta peggiorando.» Dissi con un sospiro liberatorio quando mi fui accertato che fosse ricresciuta perfettamente. La giovane al mio cospetto era ben diversa dalla bambina che avevo incontrato anni prima. I suoi capelli bianchi erano stati sistemati in un taglio corto e pareggiato che accentuava la forma del viso sottile e quegli occhioni verdi che sembravano quasi due smeraldi. Non aveva affatto i tratti di una Sorella, la tradivano proprio gli occhi, ma dentro di lei si celava qualcosa di più preoccupante e spaventoso, qualcosa che Magdalena non avrebbe mai dovuto fare.

«Se solo riuscissi a liberarti...» Sussurrò disperata, osservando il cerchio perfetto. Non ero certo di potermi fidare di quella creaturina che era cresciuta davanti ai miei occhi, ma sapevo che era dotata di grandi abilità e di un'intelligenza così grande che avrebbe sicuramente trovato una soluzione e io, meschinamente, dovevo solo rendermi innocuo e affabile affinché tutto tornasse a mio vantaggio.

«Devi attendere solo qualche altro giorno, poi riceverò la pietra della discendenza e allora potrò evocare qualcuno capace di aiutarti!» Sollevai un sopracciglio con aria infastidita per quella rivelazione. Me lo aveva detto così tante volte che avrebbe contattato qualcuno che ci avevo perso le speranze quando il tempo passava e nessuno arrivava.

«Non guardarmi così... La notte delle anime è un rituale importante!» Continuò, iniziando ad armeggiare nella borsa che portava sempre dietro.

«Tua madre non ti darà mai quel gingillo» le risposi seccato ripensando a quella collana che Magdalena portava sempre addosso. Era lì che aveva racchiuso la pietra della sua famiglia e non se ne separava mai, dubitavo che l'avrebbe passata alla figlia. C'era uno strano legame tra quelle due, come se qualcosa nel loro rapporto non funzionasse.

«Deve farlo! Per me è importante!» Scattò infuriata, estraendo una mela dalla borsa. Me la lanciò e istintivamente l'afferrai. Lei sorrise e io di rimando sbuffai. Non riusciva proprio a capire che non mangiavo.

«Io ti libererò! Questa cosa che gli Shen sono considerati creature crudeli deve finire.» Notai uno strano scintillio nei suoi occhi. Sembrava credere seriamente a ciò che stava dicendo e per un attimo qualcosa dentro di me si riscosse, ma fu soltanto un'impressione, un lieve fremito, perché poi svanì all'istante, così come era arrivato.

«Cosa ti fa credere che non ti ammazzerò una volta fuori da questo buco?»

«Il fatto che mi hai aiutata quando l'Altrove mi richiamava a sé e quel semplice gesto di farmi compagnia ogni notte nel tentativo di placare la rabbia del mio sangue. Io non dimentico il bene che mi hai fatto e neanche tu dovresti.» Ogni sua parola trasudava fiducia e una massiccia quantità di dolcezza che non riuscivo a comprendere da dove venisse. Sua madre e molte altre della sua stirpe mi avrebbero ucciso al minimo sentore di debolezza, ma lei no. Sembrava vedere in me qualcosa che neppure io riuscivo a scorgere e fu allora che quel fastidio tornò a presentarsi.

«Giocava solo a mio vantaggio.» Ringhiai scontroso dandole la schiena. Era la sua presenza innocente a procurarmi quei formicolii, quei maledetti fastidi che avrei voluto strapparmi di dosso con i miei stessi artigli.

«Il mondo deve cambiare, ed è giunto il momento che sciamani e Shen tornino a convivere, come in passato» continuò convinta.

«Voglio che il mondo sia un posto migliore, glielo devo.» Quelle parole mi fecero captare un segnale d'allarme. A chi si stava riferendo? Voltai la testa, giusto la minima direzione necessaria a vedere la sua figura minuti carezzare il grembo sopra la camicia bianca che indossava. Disegnava dei cerchietti lenti e delicati e sul suo volto era dipinto un sorriso sereno e pacifico. Non lo aveva fatto davvero. Non poteva. Tara sollevò la testa nella mia direzione e si lasciò sfuggire un gigantesco sorriso. I suoi occhi verdi scintillarono di una strana luce armoniosa e per un attimo mi parve di sentire la terra sotto i miei piedi tremare, tanto era diventato instabile il mio equilibrio persino da seduto.

«Sono incinta, Shen! E spero di essere una madre migliore della mia!»

Shen-L'ombra del dannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora