𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐢𝐜𝐢𝐨𝐭𝐭𝐨:

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La guardai ed ebbi la consapevolezza, chiara come quella di dover morire, di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare.
(Vladimir Nabokov)

Il campanello di casa suonò costringendomi ad aprire gli occhi bruscamente, risvegliandomi dal sonno in cui mi trovavo.

Con uno sbadiglio allungai il braccio e afferrai la sveglia, scoprendo che fossero le 05;30, mi alzai di scatto, poggiandola sul comodino.

Dovevo correre se non volevo fare tardi e rischiare di perdere il volo.

Ma come mi ero potuta dimenticare di puntare la sveglia? Can me lo aveva persino raccomandato.

Dio, che sbadata.

«Eleonora?» mi richiamò Matteo, dal corridoio, battendo una mano sulla porta sulla porta della mia camera, «Can è qui!» esclamò poi, legai i capelli in una coda e velocemente uscì dalla mia stanza, raggiungendo poi il soggiorno.

«Buongiorno» li salutai, alzando una mano per aria, «Buongiorno» risposero i ragazzi, in coro, «Spero tu abbia la valigia pronta» mi disse Can, seguendomi con lo sguardo, «Quasi» risposi con un sorrisino, «Che vuol dire quasi?» chiese assottigliando lo sguardo, sorrisi di nuovo, «Vuol dire che... Ieri ero troppo stanca e non sono riuscita a completarla» spiegai, lui scosse la testa contrariato e alzò gli occhi al cielo.

«Vedi di sbrigarti, dobbiamo uscire tra poco!» disse poi, venendomi incontro, poggiando le mani sulle mie spalle, spingendomi, delicatamente, «Va bene, va bene!» dissi, alzando le mani per aria, «Mi sbrigo!» concordai, prima di correre di nuovo in camera mia.

Presi la valigia da terra e la misi sul letto ancora sfatto.

Aprì le ante dell'armadio e afferrai alcuni vestiti, nel dubbio presi varie cose, dall'elegante all'informale. Misi poi anche due paia di scarpe e il beauty - case, insieme al pigiama ovviamente.

Mi accertai di aver preso tutto, poi richiusi la valigia, poggiandola per terra.

Presi dall'armadio una tuta e corsi in bagno, per fare una doccia e cambiarmi, cercando di perdere il meno tempo possibile.

Ero a dir poco entusiasta all'idea di partire e andare ad Istanbul.

Mi serviva proprio un weekend fuori città, lontano da tutti. Volevo staccare la spina, evitando mio padre, Lorenzo, e tutti i problemi che comportavano. E se avessi rifiutato di andare con Matteo e Can, me ne sarei sicuramente pentita.

Una volta uscita dalla doccia, mi vestii e mi truccai leggermente, tornai poi in soggiorno dove però, vi trovai solo Can, seduto sul divano con il cellulare fra le mani, la valigia era poggiata per terra, proprio al suo fianco.

Anche lui aveva scelto dei capi comodi, aveva infatti una semplice tuta grigia ed un cappotto beige, con delle scarpe sportive, e appesi all'orlo della maglietta, degli occhiali da sole.

«Sono colpito» affermò con un sorriso, non appena mi vide, «Ci hai messo meno tempo del previsto» continuò, mentre infilava il cellulare nella tasca, «Dovevo sbrigarmi o no?» gli chiesi facendolo sorridere.

«Ragazzi...» ci richiamò Matteo d'un tratto, spuntando dal corridoio con aria molto seria, «Che cos'è successo?» chiese Can, alzandosi immediatamente dal divano, aggrottai la fronte andandogli incontro, con una certa ansia.

«Non posso partire» affermò Matteo, «Che cosa significa che non puoi partire?» gli chiesi confusa, «Ieri sera per via della festa non ho controllato le email, così l'ho fatto poco fa e.... ed ho scoperto di averne ricevuta una da una nota stazione televisiva regionale» esordì, annuii, ascoltandolo in silenzio.

Hidden Hearts || Can YamanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora