Capitolo 12

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Il mattino seguente Lopez mi convocò nel suo ufficio.

"Bel lavoro agente Miller, lei e Pascal a capo siete stati un'ottima squadra. Ora bisogna mettere sotto torchio Domingo Ortega, dobbiamo scoprire il nascondiglio del fratello".

"Bene, grazie capo", mi congedai e mi recai alla mia scrivania.

Afferrai il fascicolo e mi diressi all'interrogatorio.

Entrai nell'anticamera dove dallo specchio unidirezionale vedevo Domingo Ortega seduto, ammanettato, in quella stanza grigia. Ero in compagnia della sola guardia.

Gettai il fascicolo sulla fredda superficie del tavolo in metallo e mi appoggiai su di essa, lasciando una gamba penzoloni.

"Questo bel malloppo parla di te e di tuo fratello. Parla e avrai molti benefici", cercai di raggirarlo.

"Non pensavo permettessero alle troie di entrare nella DEA", sfidò l'uomo.

Strinsi i denti e col lato esterno del pugno lo colpii in pieno volto, facendolo ribaltare di lato in uno alla sedia.

"Figlio di puttana, ti farò sputare i denti se non ci dai le informazioni che vogliamo!", gridai strattonandolo per il bavero della tuta grigia, mentre ancora era sul pavimento.

In quel momento entrò Johnson, che mi alzò da terra. Ero letteralmente cavalcioni su quello stronzo e stavo per gonfiarlo di botte. Jack ricompose l'uomo, che si asciugò il sangue alla bocca col polsino sinistro.

Non riuscimmo a cavare un ragno dal buco, ma i precedenti lo avrebbero tenuto dentro a vita.

Innervosita, mi sedetti alla mia sedia, pronta a contattare gli informatori.

Si fece sera e di Pedro nemmeno l'ombra. Mi recai nel suo ufficio e mi sedetti comoda sulla poltroncina di fronte alla scrivania. I vetri che davano negli altri uffici erano oscurati da tapparelle sottili.

Su un mobile dietro la sedia principale notai un piccolo oggetto dorato. Mi avvicinai. Era la spilla che avevo indossato la prima sera, al Kapital. Quei piccoli rubini, che rappresentavano gli occhi della figura leonina, luccicavano sotto la luce. Chissà quale pappone l'aveva regalata alla prostituta. Erano ormai le nove di sera ed il piano era quasi deserto.

Drin drin

Il telefono sulla scrivania si fece sentire, insistente.

"Cazzo Wilson se non lo mettiamo sotto torchio non riusciremo mai a scoprire dov'è il fratello!" Sentii il bruno nel corridoio parlare col collega, il quale farfugliò qualcosa e si allontanò.

La porta si apri e rivelò la sua figura, lo guardai dai piedi fino ad arrivare al viso, turbato.

"Buonasera agente capo", cambiai espressione quando lo vidi accigliato. "Hey Pedro, che succede?" chiesi avvicinandomi ad accarezzargli un braccio.

Appoggiò le mani ai fianchi e sospirò. "Ortega non vuole parlare".

"Lo so, stamattina... ma non c'è stato niente da fare. Non credo tradirà il fratello".

Si toccò i baffi e passò le punte delle dita sulle labbra. Andai alla porta e la chiusi a chiave.

"Karen stasera non sono in...", gli tappai quella bocca con un bacio, tenendogli il suo bel viso tra le mani. Mi cinse i fianchi ed il suo sguardo divenne più dolce. "Sto aspettando una telefonata".

"Così tardi? Chi devi sentire?"

"Lopez".

"Il telefono ha squillato ininterrottamente", dissi mentre lo baciavo sul naso poi all'angolo della bocca.

"Ma porca... ho perso la chiamata!", imprecò, distaccandosi. A quelle parole lo squillo ricomincio.

Drin Drin. Pedro si appoggiò con il sedere alla scrivania ed alzò la cornetta del telefono.

"Si salve, sto aspettando quelle informazioni su Rodriguez. Ah ok..." . Il suo respiro si spezzò vedendomi in ginocchio davanti a lui, mentre gli slacciavo la cintura.

"No aspetta", sussurrò mettendo veloce la mano sul microfono della cornetta. Non lo ascoltai e feci a modo mio. Mente parlava al telefono, gli aprii i pantaloni, smaniosa.

"Si aspetto in linea... Karen che stai fac... oh cazzo!" Esclamò nel sentirlo entrare nella mia bocca. Appoggiò la mano libera sul mio capo, assecondando i miei movimenti.

"Certo, va...bene. Quanto ci vuole ancora?" Rimise la mano sulla cornetta. "Non puoi fare così..." disse quasi in un sibilo. Io continuavo ad assaporarlo, leccandolo tutto per poi stringerlo tra le labbra.

"Salve, si...ehm", mi lanciò un'occhiata di rimprovero, "sono Pascal... ok.... perf... perfetto. A domani", riagganciò col fiatone. Mi guardava con le labbra socchiuse.

"Karen non puoi...oddio", mosse di più il bacino. Afferrò i capelli sulla mia nuca ed iniziò a spingere, sempre più veloce. Mi guardava fisso negli occhi, godendosi la vista del suo desiderio entrare ed uscire dalla mia bocca e più in profondità, facendomi quasi salire le lacrime agli occhi. Ringhiò nelle ultime spinte per poi venire nella mia gola.

"Dio Karen...", si strofino il viso con le mani.

"Non sembra ti sia dispiaciuto", sfidai alzandomi.

"E questa è la seconda volta sul posto di lavoro", disse con un po' di affanno.

"Si ma siamo 1 a 0", alzai un sopracciglio.

"Vuoi che ti scopi qui? Ora?", alzò le mani.

Presi la sua mano sinistra e l'appoggiai sul mio seno. Poi la passai sulla guancia. Leccai il dito medio, portandomelo in bocca. Sospirò pesantemente.

Mi girai di spalle, appoggiando il mio fondoschiena sul suo corpo. Mi abbracciò con la mano libera.

"Piccola che vuoi fare?" disse piano al mio orecchio destro. Respirava tra i miei capelli.

"Muovi le dita". Sorrise d'intesa.

Feci scendere la sua mano a toccarmi il collo, il seno e poi la feci entrare nei pantaloni, superando le mutandine. Le sue dita umide si inoltrarono piano nella mia apertura, che le accolse. Fece entrare indice e medio, in fondo, per poi riuscire e rientrare più e più volte.

"Oh Pedro". Appoggiai il capo all'indietro, strusciandomi sul suo viso. Mi baciò il collo.

Tolse le dita velocemente, facendomi gemere. Mi prese per i fianchi e mi rigirò sulla scrivania, dove appoggiai i gomiti. Mi abbassò i pantaloni e sentii spostare una sedia. Si mise dietro di me.

"Eccomi piccola" sussurrò. Iniziò a leccarmi e poi introdurre la lingua, impaziente, e poi il suo naso grande. Schioccava baci e mi riempiva con la lingua e con le dita, alternando. Stavo impazzendo. Poi con i pollici mi aprì e sentii entrare il suo desiderio tutto in una volta. Gemetti forte.

"Mi vuoi così Karen?" chiese a denti stretti, lo sbatteva forte dentro, senza lasciarmi respiro. Era veloce come un treno. "Sei stata...cattiva prima...", le parole spezzate tra una spinta e l'altra.

Sentii una mano sotto la mia t-shirt. Mise l'altra sulla mia bocca per bloccare i miei gemiti ed io gli morsi leggermente le dita.

"Oh si, niña", lo sentii venire, il suo calore riempirmi. Rimase dentro di me. "Non vorrei mai uscire", confessò. "Sei così stretta e calda", si chinò a baciarmi i capelli e si spostò.

Una volta ricomposti, mi abbracciò forte, baciandomi ancora.

"Usciamo di qui", disse prendendomi per mano. Arrivati giù all'entrata, schioccò un leggero bacio sulle mie labbra. "A domani".

Rientrata a casa, trovai Jack preparare la cena.

"Oh Jack, ti ringrazio! Volevo prendere qualcosa qui all'angolo, ma c'era poco e niente", dissi al collega intento ad arrostire un po' di carne.

"Non ti preoccupare Karen, stasera mi andava una bella bistecca", disse assaggiando una verdura.

Ero più che affamata. Cenai in fretta e ringraziai ancora una volta Jack, per poi tuffarmi sul materasso.

AMOR LOCODove le storie prendono vita. Scoprilo ora