1.39 ● TI È ENTRATA DENTRO

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Le mie dita scivolavano sui tasti del pianoforte e, nella penombra, ad occhi chiusi, inseguivo le vibrazioni delle note, alla ricerca di qualcosa che mi mancava. C'era una pecca, in quella melodia che stavo suonando, che mi sfuggiva e che mi impediva di definirla e di terminarla.

Sapevo che, se mi fossi lasciato andare, molto probabilmente avrei trovato la soluzione, ma ero io quello confuso, ed ero io che cercavo una risposta, e non una semplice.

In più, c'era la lezione che avevo appena fatto. Ero stato chiaro, lineare, semplice. Ero stato io.

Eppure, lo avvertivo. Era lì, affacciato sulla terrazza dei miei pensieri, a spiare con occhi smaniosi il mio amico. Sentivo il suo desiderio di manifestarsi, misto a un senso di inadeguatezza e difetto. Vedevo la sua inquietudine riflessa nello sguardo di Nate che, paziente, attendeva che si rivelasse.

No, lo stronzo non era arrivato, lasciandomi in un limbo tra vittoria e fallimento.

Mentre tentavo di scansare quella non-sensazione, cercando di ricomporre la successione delle note, da dietro di me provenne un tintinnio di ghiaccio dentro a un bicchiere.

Mi girai e Nate era seduto sulla poltrona vittoriana della sala, con le gambe allungate sul poggiapiedi e la testa a penzoloni sullo schienale. Come avevo intuito, aveva un bicchiere di acqua ghiacciata in mano.

«Bella suite.» Mormorò.

Quella frase era una specie di scintilla nel buio che mi faceva vedere la parte più sconclusionata di tutta la faccenda. «Cosa?»

«Bella suite.» Ripeté, accavallando le caviglie.

«Come fai a dire che è una suite?»

«Me l'hai insegnato tu, i cambi di ritmo, melodia.» Indicò il pianoforte.

Mi fermai a pensare. «Non ci avevo fatto caso.»

«Amico, tu non fai mai caso a niente, quando ti rifiuti di accettare la realtà.» tirò giù le gambe dal poggiapiedi e si mise a sedere, mi guardò con l'espressione da 'ti lancio addosso una bomba di mondo reale'.

«Desirèe Cooper.» Scandì.

Nella penombra, in silenzio, mi girai verso di lui. «Cosa? Che c'entra Desirèe Cooper? Avevo dodici anni.» Una nube temporalesca, nera e carica di ricordi obliati, si riversò nei miei pensieri in gocce dense, fatte di vergogna, oscenità e voglia di fuggire.

«La tua prima cotta. La ragazzina, su» indicò il piano superiore col dito, «È ben oltre alla cotta. Sta diventando un'ossessione, da come la vedo io.»

Mi passai le mani tra i capelli «Cosa? Io ossessionato? Stai dando i numeri?» mi sembrava di avere uno strano scampanellio nelle orecchie, come un allarme antincendio. Il sudore iniziò a coprirmi la fronte, il cuore sembrava la mia melodia fuori tempo.

Si alzò disinvolto dalla poltrona, andò ad appoggiare il bicchiere sul tavolino davanti al divano e placidamente si avvicinò, sedendosi accanto a me, sullo sgabello.

«La ragazza ti è entrata dentro.» Mormorò a pochi centimetri dalla guancia sinistra, tanto che riuscii a percepire il calore del suo fiato.

Fissai la tastiera bianca e nera. «No, la ragazza è entrata in casa mia perché l'ha voluta mio padre. E con quello che hanno passato lui e la sua sorellastra, sopportarla è il minimo che posso fare. Anche se, devo ammettere che mi disturba di più sua madre, con le sue ossessioni.»

«Mick, ti conosco. Erano anni che~»

«Erano anni che non perdevo il controllo!» Lo interruppi, schiacciai forte i tasti del pianoforte d'istinto, emettendo un suono cacofonico. «E mi ha chiamato mostro.» Sbottai. «Taryn mi chiama mostro.» non volevo, in nessuna parte della mia mente e del mio cuore, che Juno pensasse che io lo fossi.

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