27. Fire so cold it burns

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Per quanto io avessi pensato ad ogni evenienza nei minimi dettagli, non avevo calcolato che il danno collaterale più grande potesse essere fatto di sogni infranti e cicatrici indelebili.
Ed ora, quello a sanguinare ero io.



Da bambino non mi era mai stato concesso essere debole

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Da bambino non mi era mai stato concesso essere debole.

In nessuna circostanza avrei potuto mostrarmi vulnerabile, o mi sarebbe stato impartito un insegnamento che ancora mi oscurava le iridi impedendo al sole di filtrare e diffondere i propri raggi illuminandole.

Potevo ancora sentire quella voce percuotermi le membra di puro terrore, prima dell'inevitabile schianto che avevo imparato ad accettare e che era finito ad avvelenarmi giorno dopo giorno, addentrandosi sempre di più nel mio raziocinio e piegandolo fino a plasmarlo affinché resistesse imperturbabile agli urti e superasse la vista del sangue che lo macchiava, desiderando solo vederne sgorgare di più dalle ferite che lo marchiavano e a cui non reagiva, sapendo sarebbero servite a costruire quell'armatura che lo avrebbe reso indistruttibile anche di fronte alla morte.

E così mi ero adattato, avevo imparato che alcune volte lottare non ci era concesso, e che quando testardi provavamo comunque a combattere scendendo sul campo di una guerra nata prima di noi e che sarebbe continuata per sempre perpetua anche quando noi non saremmo più esistiti, incurante della nostra presenza, le conseguenze potevano essere solo crimini punitivi volti alla nostra parziale distruzione.

Ero stato addestrato al culto della resistenza al dolore, ed era servito un intero plotone d'esecuzione per tentare di uccidere il briciolo di umanità che mi era rimasto.
Glielo avevo lasciato fare, avevo lasciato morire ciò che fino a quel momento aveva lottato per sopravvivere, arrampicandosi nella mia cassa toracica per nascondersi tra le fibre spesse del mio muscolo cardiaco, ormai inutilmente lasciato a battere nel petto annegato di formalina, nella speranza un giorno sarebbe potuto tornare a bruciare per qualcosa.

O per qualcuno.

L'esercizio e la perseveranza mi avevano reso un mostro, un insieme infernale di frammenti lacerati che non si sarebbero mai spezzati del tutto ma che sarebbero sempre rimasti a graffiarmi dentro, abbastanza taglienti da ricordarmi costantemente non mi sarebbe stata concessa una tregua nemmeno tra la nebbia onirica delle mie palpebre addormentate.

Sembrava il destino sapesse cosa aveva in serbo per me il cielo stellato, e avesse voluto forgiarmi iniettandomi nelle vene puro titanio, scolpendomi fin da subito nella roccia siderale di un meteorite infuocato affinché fosse impossibile domarmi o indebolirmi.

Poi il tempo era passato, la mia vita era cambiata e avevo smesso di essere forte solo per paura di ciò che avrebbe implicato la debolezza.
Avevo continuato ad essere come mi avevano sempre voluto, ma solo per salvarmi, improvvisamente grato di essere stato così attento e meticoloso nell'arte dell'accogliere dentro di me il veleno e cibarmene insaziabile fino a farne la mia unica fonte di sopravvivenza.

𝚩𝐋𝚨𝐂𝚱𝐎𝐔𝐓Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora