Capitolo 18

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Durante gli altri incontri della giornata non eravamo riusciti a raggiungere un accordo o una soluzione concreta al problema delle rivolte cittadine. Il tema del regno di Edward non venne più toccato dopo la discussione che avevo avuto con Alan.

Il tempo destinato a me e ai miei libri si era drasticamente assottigliato nelle ultime settimane. L'unico momento in cui potevo apprezzare un buon libro era quando andavo a trovare mio padre e leggevo per lui. Ma anche in quei momenti non riuscivo realmente a riposarmi dato che inevitabilmente il mio sguardo e i miei pensieri ricadevano su quell'uomo forte davanti a me che in questo momento sembrava il fantasma di se stesso.

-Ho bisogno di una pausa. Ho bisogno di schiarirmi le idee. Ho bisogno...-

"Andrò a trovare la mamma" dissi all'ombra che mi seguiva senza nemmeno voltarmi. Dalla nostra discussione non ci eravamo più rivolti la parola o scambiati il ben che minimo sguardo, ma sapevo bene che lui era lì, sempre cinque passi dietro di me.

Non so perché glielo dissi. Forse volevo che mi fermasse, forse volevo riavere il mio amico e chiacchierare insieme, forse volevo un pretesto per litigare ancora. So solo che lo dissi ad alta voce perché volevo che lui lo sentisse.

Quando c'era stato l'incidente di nostro padre qualche settimana prima, mi trovavo sulla panchina davanti al monumento della mamma e avevo lasciato lì il mio libro. Con tutto quello che era successo non ero mai andata a riprenderlo o mandato qualcuno e onestamente mi era passato di mente.

-Strano ma vero, un libro dei miei che passa in secondo piano. Che scandalo!-

Così mi avviai nel giardino. Il sole stava tramontando e i lampionai stavano accendendo tutte le luci che riuscivano a trovare, a partire dal castello e sempre più verso le mura di cinta.

Quando raggiunsi la mamma mi aspettavo che sarei stata completamente sola, o al massimo qualche lampionaio intento nel suo mestiere. Invece trovai dei giardinieri che se ne stavano andando dopo quella che sembrava essere stata una lunga giornata di lavoro e dietro di loro lei, mia sorella, con lo sguardo fisso sul monumento di nostra madre.

Aveva un udito sopraffino, o forse solo i nervi a fior di pelle come i miei, perché non appena feci un passo in più si girò di scatto verso di me.

Rimanemmo per un po' a guardarci, per un momento che sembrò un'eternità. Doveva essere lì per il suo famoso terzo stadio e, dal libro che teneva in mano, capì che sapeva perfettamente perché io fossi venuta fin lì.

"Ti sei lasciata un po' andare, eh?" disse lei con tono calmo e un po' scherzoso, facendo a tutti gli effetti un sorriso.

-Un sorriso? A me? Perché? Perché ora?!-

Non capendo a cosa si riferisse, indicò con gesto plateale quel nostro posto segreto, che tanto segreto non era. Dopodiché si mise a guardare di nuovo la mamma.

"Ho notato che era da un po' che non mandavi qui i giardinieri. Te ne sei sempre occupata in questi anni...Non mi sembrava giusto che la mamma ne soffrisse solo perché noi siamo arrabbiate l'una con l'altra. Non trovi?" nel suo tono non c'erano rabbia, irritazione o scherno, ma solo compassione, dolcezza coperte da un velo di tristezza e melanconia.

"Hai ragione. Ho sbagliato. Sono stata presa da così tante cose che me ne sono sfuggite altre" le dissi avvicinandomi a lei fino ad essere in piedi alla sua destra.

"Come questo?" mi chiese allungandomi il libro.

"Avevo intenzione di fartelo trovare fuori dalla porta una volta che fossi tornata al palazzo"

"Grazie..." le dissi in un sospiro, riprendendo il libro tra le mani e stringendomelo forte al petto. Ora che ero così vicina potevo vederla meglio e capì perché mi sembrava che il suo tono fosse tanto triste. Aveva gli occhi lucidi e una lacrima superstite che ancora le scendeva sulla guancia.

Non c'è niente da dire, quel posto ha sempre tirato fuori il lato più infantile di entrambe.

Mi azzardai a prenderle la mano e, per paura che la ritraesse, mi girai a mia volta a guardare la mamma, per non farle capire che avevo visto quello che lei tentava tanto di nascondere.

La mia mossa venne ben accetta, tanto che Hel strinse a sua volta forte la mia mano.

Per un momento, per un solo momento, tutto andava bene. Eravamo lì, due sorelle che si tengono per mano davanti alla tomba della loro madre. Senza guerre, senza rivolte, senza rancori o liti. E senza un padre in fin di vita. Quanto mi era mancato tutto questo, quanto mi era mancata mia sorella. Ovviamente non potevo dirglielo, anche se in cuor mio speravo che il mio gesto parlasse chiaro per me.

Ma come tutte le cose belle, anche questa tregua era destinata a finire. Troppo presto!

Dopo qualche minuto di assoluto silenzio Hel lasciò andare la mia mano.

"Sarà meglio che vada ora. Il sole è già calato e io sono particolarmente stanca" disse mentre si avviava verso il castello, ma non prima di guardarmi finalmente di nuovo negli occhi per dirmi "Buonanotte Lay!" mostrandomi di nuovo quel suo sorriso triste e sincero.

"Buonanotte Hel" le risposi io di rimando, prima che lei scomparisse nelle tenebre della notte.

Non so da quanto tempo qualcuno non mi chiamava più Lay.

-Che dico, solo Hel mi chiama così!-

Però mi fece davvero molto piacere.

Mi girai un'ultima volta verso la mamma e le rivolsi il mio ultimo ringraziamento.

-Grazie mamma, per questa tregua. Grazie per avermi ridato mia sorella, anche se per poco, troppo poco...-

Due capitoli dello stesso libroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora