XXIX • QUAM AB ILLO RELINQUARIS

155 19 194
                                    

Sì, è stata davvero una pessima idea.

Non perché siamo nudi. Sono abituata alla nudità e non è mai stata una cosa capace di turbarmi. Ciò che mi rende appena inquieta, anche se riesco a dissimularlo alla perfezione, è la vicinanza. Perché queste docce a semicerchio, per quanto spaziose, sono state progettate per accogliere un solo senatore alla volta.

Però mi rendo conto che, per quanto la situazione sia disagevole sotto ogni punto di vista, non esiste posto migliore di questo in cui rifugiarsi per parlare. Il vetro si è oscurato un attimo dopo essersi chiuso alle mie spalle e ora le incisioni laser delle costellazioni lanciano un rilassante bagliore azzurrino sui nostri corpi svestiti. Settimo ha riaperto l'acqua e, immediatamente, una pioggia tiepida ci ha avvolti insieme a una nube di vapore. Così, in effetti, possiamo essere abbastanza sicuri che nessuno ci veda né ci senta.

«Cos'è che vuoi?» mi domanda, con un sussurro roco.

«Sapere perché hai sparato a Nerva» rispondo, perché non abbiamo tempo da perdere. «Io mi sono fidata di te, Settimo, cazzo».

Lui è serissimo. Scuote appena la testa per scrollarsi via l'acqua dai capelli, poi ci passa in mezzo una mano sparandoseli in tutte le direzioni.

«E ricordo anche che, prima di pronunciarti, ci hai pensato a lungo» dice.

Non abbastanza, a quanto pare.

«Sono decisioni che un Pensatore, tendenzialmente, prende una volta soltanto». Non sono abituata a tentare di minimizzare i miei errori. Sono qui proprio per assumermene la responsabilità. «Ti assicuro che la decisione di concedere la mia fiducia a Ezio, all'epoca, aveva richiesto altrettanta attenzione».

Oltre a essersi rivelata altrettanto sbagliata.

«Quando lui ha buttato quelle quarantadue persone fuori dalle mura di Nova Roma-II per lasciarle morire congelate ed è tornato con una bella storia sui Taciti?»

«Aveva nove anni, maledizione» dico, e trattengo a stento l'impulso di spintonarlo via per allontanarlo da me. Che sarebbe comunque del tutto inutile visto che, pur occupando il massimo dello spazio a nostra disposizione, siamo già prossimi a sfiorare le pareti con la schiena e a sfiorarci tra noi. «È stato costretto. Ma non sono venuta qui per parlare di questo, comunque» taglio corto.

«La prima volta in cui lo hai sentito parlare dei Taciti, quindi, tu gli hai creduto subito?» mi chiede, come se non avessi parlato.

Non è la domanda che mi aspettavo, ma non intendo tentennare prima di fornirgli la risposta che cerca. Perché ricordo ancora il terrore negli occhi enormi di Ezio che si sgranavano increduli al suono delle sue stesse parole, mentre me lo raccontava. Creature alte più di due metri, Merula. Nude, glabre, gobbe, dalla pelle bianca e riflettente. Ricordo le sue gambe mimarmi il loro incedere lento e irregolare. I loro occhi sono blu. Non azzurri o celesti. Blu. Blu e vitrei. Puoi sentirli avvicinarsi dal rantolo sofferente che emettono a ogni respiro.

«Sì» rispondo. «E quella è stata la prima e l'ultima volta in cui mi sia posta il problema. Perché, da quel momento in poi, gli sono sempre rimasta fedele senza mai più dubitare di lui, nonostante fosse tornato così cambiato, nonostante...»

Lascio cadere la frase nel vuoto. Nonostante non mi fosse più consentito vederlo. Nonostante la sua condotta a volte non integerrima, nonostante la droga, nonostante il brutale assassinio di Treppiede.

«Da quel momento non hai più dubitato di lui» ripete, lentamente. «Fino a ora. Ora, d'improvviso, hai smesso di fidarti del suo giudizio».

«Non sono io quella sotto accusa in questo momento» sibilo.

SATURNALIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora