Capitolo 23

2 1 0
                                    

Rimasi su quella porta a lungo. Mia sorella restò al capezzale di nostro padre tutta la notte e io non mi spostai mai di lì.

Alan era stato così caro da portarmi una sedia su cui sistemarmi e alcune domestiche ci portarono qualcosa per cena, ma onestamente nessuna delle due aveva fame. I nostri stomaci erano completamente chiusi, già pieni di tutte le lacrime ingoiate e il magone.

A notte inoltrata mi addormentai. Fu una notte senza sogni, ma per fortuna anche senza incubi. Quando chiusi gli occhi sono certa che Helena fosse ancora lì sveglia accanto a lui, mentre quando li riaprì era scomparsa. Non sapevo che ora fosse, ne quando lei se ne fosse andata, sapevo solo che anche così non avevo la forza di entrare da nostro padre, non ancora.

Chiesi ad Alan di restare lì con lui, non volevo commettere di nuovo l'errore di ieri, ma non potevo stare lì dentro. Il solo pensiero mi dava le vertigini. Dalle lacrime agli occhi che avevo Alan capì che era meglio non dissentire e si avviò dentro la stanza con un cenno del capo, mentre io scesi in sala da pranzo per fare colazione. Mi sentivo io il cadavere in quel castello.

Tutto era silenzioso, non un ramo veniva smosso dal vento, non una persona nel castello emetteva un fiato.

Quando arrivai nella sala notai i piatti degli altri già svuotati e lasciati ancora lì, dovevano aver finito da poco. Per un attimo mi chiesi come doveva essere andata la conversazione tra Helena, Jon ed Edward quando si erano ritrovati tutti lì insieme, ma poi mi convinsi che se avessero fatto una scenata li avrei sentiti, per cui dovevano essere stati in silenzio per tutto il tempo o magari essere arrivati in momenti diversi.

Al mio solito posto c'era già un piatto pronto con dell'ottimo cibo, ma non appena passai dietro alla sedia di mio padre a capotavola, sfiorando lo schienale con la mano, ricominciai inesorabilmente a piangere. Stavolta però non avevo nemmeno dietro di me lo sguardo di Alan a consolarmi un minimo. Ero completamente sola in quell'enorme sala, ma che dico, in quell'enorme castello e in tutto il mondo per quanto ne sapevo.

Poco dopo aver finito di mangiare, molto lentamente e mandando giù a fatica ogni singolo boccone, mi avviai nuovamente verso la camera di mio padre, decisa ad entrare questa volta, glielo dovevo.

Attraversando un corridoio però assistetti ad una scena che mi risvegliò immediatamente dai miei pensieri, mio cognato Jon che teneva per il collo il principe Edward contro il muro, sollevato di qualche centimetro da terra.

Non ero riuscita a sentire nulla della conversazione che aveva portato a quel gesto, ne riuscivo così su due piedi ad immaginare cosa mai avrebbe potuto portare ad una mossa del genere.

Mi avvicinai a passo svelto nella loro direzione, decisa a fermare qualunque cosa fosse in atto.

"CHE SUCCEDE?!" iniziai a chiedere allarmata mentre mi avvicinavo

"Che stai facendo Jon?! Lascialo subito!" gli intimai, ormai avendo raggiunto il suo fianco. Data la sua stazza riuscivo a malapena a raggiungere la sua spalla che essendo alzata ed intenta a strangolare il mio Edward, mi bloccava la vista di gran parte del suo viso. Fatta eccezione per gli occhi, fulminanti e omicidi, rivolti all'uomo davanti a lui.

-Come ha fatto Helena ad innamorarsi di uno così? Con uno sguardo del genere potrebbe esplodere in qualunque momento!-

Senza ricevere alcuna risposta da lui gli ripetei in tono più calmo e fermo "Lascialo andare subito, è un ordine!"

Solo a quel punto Jon lasciò la presa, facendo rovinare a terra Edward senza più fiato in gola e con forti colpi di tosse.

"Stai attenta con lui Layla. È pericoloso" disse in tono freddo e stranamente calmo subito prima di andarsene. Iniziai a comprendere le storie che mi aveva raccontato Helena sul perché i suoi uomini lo chiamassero Capo e avessero il terrore di lui. Nonostante il suo aspetto doveva essere micidiale.

Mi chinai accanto ad Edward, senza mai staccare gli occhi da mio cognato, finché non girò l'angolo. Temevo potesse fare un'altra pazzia, come accorgersi che c'ero solo io e tornare a finire il lavoro.

Solo allora iniziai a porgli domande.

"Come stai? Nulla di rotto?"

-Prima di tutto la salute-

"No, no, sto bene" rispose lui a fatica, passandosi una mano sulla gola dolorante ed emettendo qualche altro colpo di tosse.

"A me non sembra. Vieni con me" gli dissi sollevandogli il braccio per spingerlo ad alzarsi. Non ero forte ma speravo che il gesto bastasse. La biblioteca non era troppo lontana e sarebbe stato un posto tranquillo, e senza parenti inquietati che cercavano di ucciderlo.

Due capitoli dello stesso libroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora