La Mia Famiglia

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"Mi sento una bambina fortunata" è la frase che mi rimbomba in testa ogni volta che metto piede nella mia cameretta, perché è la stanza più bella del mondo per me.

Solitamente accendo sempre il mio carillon a forma di giostra e mi siedo al centro del tappeto rosa con le frange a guardare incantata tutti gli scaffali pieni di peluche e bambole che circondano il mio letto. Saprei riconoscere i miei giocattoli tra milioni di altri giochi perché ci sono molto affezionata, ognuno di loro ha un nome e una storia, come se fossero tanti miei piccoli amici.

"È pronta la cena!" Ecco la mamma che mi chiama a tavola, vuol dire che giocherò dopo aver mangiato. Entro in cucina e trovo mamma e babbo già a tavola mentre George, mio fratello, stava cercando il suo succo di frutta all'ananas in frigo. In coro mi dicono "Ciao Amy" e io ricambio il saluto e mi accomodo a tavola.

Con George non ho mai avuto un ottimo rapporto, preferisco giocare con i giocattoli che con lui. Ha 10 anni, ovvero quattro in più di me, e quindi si crede un uomo e non mi lascia mai prendere una decisione. In più, essendo il primogenito, pensa di avere tutti i diritti su qualsiasi cosa; insomma è troppo arrogante.

"Come è andata oggi l'interrogazione di matematica, Amy?" chiede papà.

Sospiro e rispondo: "Ho preso 10!" Papà non riesce a congratularsi che salta su George urlando: "Sei solo una mocciosa! Sanno fare tutti a prendere 10 in prima elementare... che cosa ridicola!!"

In quel momento è come se una pugnalata mi avesse trafitto lo sterno e poi il mio cuoricino. Scoppiai a piangere, lasciai il pezzo di pizza che stavo mangiando nel piatto e scappai in camera. Bloccai la porta a chiave e mi lanciai nel letto abbracciata al mio orso di peluche gigante cercando di soffocare il pianto contro il cuscino.

Sentivo le urla dei miei genitori che stavano riprendendo mio fratello mentre lui imperterrito continuava a gridare a sua volta contro loro che ero solo una stupida bambina e che non aveva mai voluto una sorella. Non riuscivo a smettere di piangere, stringevo a me il mio orsacchiotto sperando riuscisse a consolarmi.

Papà continuava a bussare alla porta perché voleva parlarmi, ma io non gli ho mai risposto, non me la sentivo... ero troppo triste. Volevo solo calmarmi e tornare a giocare, ignorando la mia famiglia, perché non la consideravo tale.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 01 ⏰

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