Capitolo 32

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Raggiungemmo a fatica le stanze di nostro padre. I cadaveri erano ad ogni angolo, ma fortunatamente erano quasi tutti dei nostri nemici.

La maggior parte delle guardie era ferita, anche abbastanza gravemente, e furono tutti subito mandati in infermeria o ad aiutare altri in situazioni simili. Una piccola squadra di chi di loro invece stava ancora bene ci seguì per proteggerci nel caso in cui ci fossero stati altri assalitori rimasti, anche se io mi sentivo in una botte di ferro anche senza di loro.

Il caos in città era terminato anch'esso. A quanto ci avevano detto alcuni membri della guardia cittadina, dei membri dell'esercito incaricati di accompagnare i mercanti lontano erano tornati in tutta fretta avendo sentito voci allarmanti di un attacco imminente e avevano salvato la situazione all'ultimo minuto.

Prima di raggiungere nostro padre feci una tappa veloce nelle stanze di Edward. Incredibile ma in tanti mesi non vi avevo mai messo piede.

-Grazie al cielo, aggiungerei-

"Ma perché siamo qui?" mi chiese Hel una volta entrati in quella stanza.

"Beh, dato che abbiamo appurato che è stato Edward ad avvelenare nostro padre e abbiamo scoperto che veleno ha usato, immagino che abbia contrabbandato anche l'antidoto. Si, insomma, se mai si fosse avvelenato per sbaglio, o se Amelia avesse fatto il doppio gioco o roba simile...Perciò deve essere da queste parti, in un posto segreto, al sicuro, un posto a cui solo lui aveva accesso e che fosse a portata" dissi, mentre aprivo cassetti e rovistavo negli armadi. Dopo essersi scambiati uno sguardo complice quei tre decisero di aiutarmi, rivoltando il materasso, spostando tappeti...

Fu solo quando togliemmo una pietra dal caminetto che trovammo una piccola fiala.

La portammo al medico del re, in infermeria. Anche se era intento a curare i soldati si prese del tempo per osservare la fiala e decretò che era in effetti la cura.

Andammo da nostro padre. Le guardie lo avevo protetto alla perfezione, nessuno aveva oltrepassato la porta o alcun passaggio segreto.

Gli somministrammo la cura e aspettammo.

Dato che avremmo dovuto aspettare qualche ora ci dirigemmo in infermeria a dare una mano. Negli anni avevo dovuto spesso curare le ferite di Hel, soprattutto nei punti che non riusciva a raggiungere da sola. In più ero abbastanza brava con il cucito.

-Altro punto a favore...ahh lasciamo stare-

Appurai che effettivamente anche mio cognato non se la cavava male coi bendaggi e con mia sorella formavano una squadra formidabile. Lavoravano in perfetta armonia, come un macchinario ben oliato.

Cercammo di dare una mano per quanto ci fosse possibile, anche per impegnare un po' le nostre menti dopo la lunga giornata.

Dopo qualche ora il medico tornò da noi, dicendoci che nostro padre si sarebbe potuto svegliare tra non molto, il che ci fece precipitare nella sua stanza

Mentre eravamo lì cominciai a pensare che tutto stava volgendo alla fine e non potei non pensare a come tutto aveva avuto inizio.

"Avevate ragione...Tutti quanti, e io non vi ho ascoltati" dissi, nel silenzio della camera di nostro padre. Jon aveva superato le sue difficoltà ed era entrato, andandosi a sedere accanto a sua moglie, al capezzale di nostro padre. Io ero dalla parte opposta del letto, con Alan al mio fianco, che a quelle parole mi poggiò una mano sulla spalla.

"Non pensarci ora Lay. È finita, conta solo questo" mi disse Hel

"No, non è vero. Devo dirvelo e se non lo faccio adesso potrei non trovare più il coraggio e non voglio che cada nel dimenticatoio. Sarà anche finita, ma non saremmo dovuti arrivare fino a questo punto. Me l'avete detto tutti quanti che non vi fidavate di Edward ed io come una stupida non vi ho dato retta. Se l'avessi fatto tutto questo non sarebbe successo...

Ho messo in pericolo il tuo bambino per questo Hel, e non so come farò a perdonarmelo" confessai a testa bassa, mentre i presenti si giravano tra me ed Hel. A quanto pare non aveva detto proprio a nessuno delle sue condizioni, né a Jon che l'avevo scoperto, e la cosa lasciò sotto shock tutti quanti.

"Chi...chi è che aspetta un bambino?" disse la voce che più di tutte speravo di sentire.

"PAPA'!" urlammo in coro io ed Hel, contente più che mai che la cura funzionasse e che lui si fosse finalmente svegliato.

"Non urlate, non sono mica sordo" disse a fatica, ma facendo comunque un leggero sorriso. Il suo sorriso

"Allora, chi è che aspetta un bambino?" chiese nuovamente.

Io ed Hel ci scambiammo uno sguardo pieno di emozione e gioia.

"Hel papà, Hel e Jon aspettano un bambino" gli dissi poco prima che lui scoppiasse in una sonora risata al grido di "STO PER DIVENTARE NONNO!"

Restammo con lui per tutto il pomeriggio e la sera. Quando arrivò l'ora di cena eravamo tutti molto affamati dato che a causa dello scontro avevamo saltato sia la colazione che il pranzo. Lasciammo la stanza a fatica quando il sole era ormai già calato da tempo, diretti ciascuno nelle proprie stanze per una meritata notte di riposo.

Alan mi accompagnò, ma quando arrivai davanti alla porta non riuscì ad entrare.

"Va tutto bene, principessa?" domandò lui preoccupato.

"Si, si va...No, non va bene. Voglio chiederti scusa Alan" gli dissi, voltandomi verso di lui. Aveva preso di nuovo l'abitudine di stare cinque passi dietro di me, ma la cosa doveva cambiare.

"L'avete già fatto principessa" mi rispose lui dolcemente.

"Non per questo, non per come mi sono comportata quando tu hai cercato di avvisarmi di Edward nella biblioteca. Sono stata meschina e me la sono presa con te senza nessuna buona ragione" gli dissi, tutto d'un fiato

"E volevo anche ringraziarti" aggiunsi.

"Ringraziarmi?" domandò lui sorpreso e divertito. Non si aspettava le scuse che gli avevo rivolto poco prima ma dovevano essergli piaciute.

"Per essermi sempre stato a fianco, per avermi sempre sostenuta, per avermi sempre ascoltata e guidata, per aver cercato di farmi ragionare nonostante la mia testardaggine. Per avermi salvato oggi e per essermi stato vicino in tutti questi anni. Io..." dissi, avvicinandomi a lui e finendo inevitabilmente per guardarlo negli occhi. Quel suo sguardo dolce e quel suo sorriso mi fecero fare ciò che non avevo mai osato anche solo pensare. Lo baciai.

Temevo potesse respingermi, e ne avrebbe avute tutte le ragioni. Invece quando mi staccai da quel bacio, tornando coi piedi per terra e intenta a dirigermi verso la porta delle mie stanze, lui mi afferrò dolcemente per la mano, facendomi girare e riportandomi a lui sollevandomi leggermente da terra per raggiungerlo, baciandomi nuovamente. E ancora, e ancora e ancora, mentre lui mi stringeva tra le sue forti braccia come se avesse paura che mi sarei sciolta da un momento all'altro. cosa tra l'altro molto probabile.

Avrei potuto pensare a quanto sarebbe stato difficile dirlo a mio padre o a mia sorella, a quanto sarebbe stato sconveniente per una principessa tutto questo, innamorarsi di un cavaliere, invece l'unica cosa a cui riuscì a pensare fu

-Perché ci ho messo tanto?-

Due capitoli dello stesso libroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora