XIX. Il rumore di un sogno (che resiste) - Parte 1

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          Il palazzo a San Giovanniello, un edificio color rosa corallo stinto che trasuda la massiccia eleganza del Risanamento, non tradisce in alcun modo la sua natura di scena del delitto; almeno, non dall'esterno.

Ricciardi si arresta in coda a Maione dinanzi all'ingresso, mentre il brigadiere controlla un qualche appunto sul foglietto che s'è cavato fuori di tasca.

«Quarto piano, commissario,» proferisce infine, salendo per primo le scale d'accesso sulla strada.

Ricciardi lo segue senza una parola, pur notando la tensione del suo collega. Lancia uno sguardo rapido alla via, animata dal ricco affaccendarsi della zona: nessun capannello di curiosi o autoambulanza lascia presagire la tragedia consumatasi all'interno. Con tutta probabilità, il grosso del fermento è all'interno dello stabile.

Varca il portone tenuto aperto da Maione e s'incammina avanti a lui su per i gradini d'ardesia ripidi e alti. Nella tromba delle scale s'incanala un flusso d'aria più fredda. Con sé, porta l'odore umido delle case che vedono di rado la luce e ancor più di rado assaporano l'aria fresca. Muffa e tufo, gli stessi odori del sottosuolo di Napoli.

Non gli rasserena affatto i nervi, quel pensiero. Ode i passi pesanti di Maione dietro di sé, leggermente più lento di lui nel salire per via della sua mole.

Ricciardi, fermo sul microscopico pianerottolo del quarto piano, l'ultimo, lo attende con quieta pazienza. Sopra di lui, un ampio lucernario con qualche pannello di vetro mancante lascia passare una luce intensa e folate di vento ora tiepido, ora frizzante, nell'incostanza della primavera ancora acerba.

Deduce che siano i primi ufficiali dell'ordine ad arrivare, dato che non scorge anima viva; in modo bizzarro, non avverte alcuna presenza spettrale oltre la porta. Forse, spera illudendosi, non è poi un delitto, quello, ma un banale incidente, e potranno dichiarar chiusa la faccenda in pochi minuti.

Si chiede, con un'indolenza fasulla, chi si occuperà di esaminare il corpo. Una voce molesta sul fondo della mente gli suggerisce che dovrebbe incominciare a chiedersi chi potrebbe sostituire il dottor Modo sul campo, ma gli sembra un pensiero prematuro.

Fissa la porticina di un azzurro stinto, scrostata in più punti. Quella è chiusa, al contrario del portone esterno. Inizia a pensare che chi abbia allertato la polizia non viva nell'appartamento, e che toccherà loro buttar giù la porta.

Poi, accadono tre cose in contemporanea, tutte prive di senso.

Dapprima, un sibilo di vento filtra dall'intercapedine della porta, come se facesse corrente con una finestra aperta o rotta dall'altro lato. Gli accarezza il collo, fin troppo simile al respiro d'un fantasma, e porta con sé odore di legno vecchio e una traccia di gelsomino che lo porta a corrugare interdetto le sopracciglia.

Poi, Maione lo affianca tra sbuffi affannati e, senza la minima esitazione, picchia le nocche sulla porta in un bizzarro ritmo sincopato: tre colpi ravvicinati, due lunghi, due rapidi.

Infine, oltre la soglia risuona subito un rumore di passi ciabattanti.

Prima ancora di riconoscere la figura androgina e dinoccolata che apre la porta con un cigolio di chiavistelli, prima ancora di scorgere l'espressione sollevata di Maione, prima ancora di poter proferir parola, coglie un unico dettaglio che fa sfumare la sua voce in un respiro trattenuto tra le corde del cuore: il sottile, inconfondibile aroma di sigaro che proviene dall'interno.

«Maronna santa, vi fate sempre desiderare, voi.»

Bambinella, vestita di tutto punto con un abito rosa antico e con la parrucca bionda ben sistemata in capo, schiude un sorriso tenue tra il rossetto amaranto. Ricciardi trasecola, gli occhi che schizzano tra lei, Maione e l'appartamento che intravede oltre la soglia.

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