1933, Germania
Più le persone vedevano in Hitler qualcosa di grande, più Matthaus capiva che futuro in Germania per le persone come lui non c'era.
Difficile da credere, e difficile da pensare che un ragazzino della sua età capisse le faccende riguardanti la politica o il mondo degli adulti, ma visto che quest'ultimi ci tenevano tanto a far sentire sulla pelle e nelle case dei bambini l'influenza del governo, allora ai quattordicenni come lui, che non volevano essere privati della loro libertà, dovevano per forza agire, in un modo nell'altro.
Per le strade della città di Colonia scorreva tra i mattoni e i ciottoli, una brezza d'estate. Foglie che ormai avevano perso il loro colorito verde strusciavano per le vie, trascinate dal vento leggero.
Le emozioni di Matthaus si ritrovarono agitate ma allo stesso tempo grate di poter sentir il solleticare sulla pelle il vento, dopo un'altra ondata del ritmo bipolare di esso, che accarezzava le guance e la costellazione di lentiggini, che assalì il suo corpo, si infilò nei suoi vestiti e passò fra il suo ciuffo marrone; Era ancora vivo.
Questo almeno sperava, sperava che la vita potesse essere così gentile a concedergli altri tre o due anni di vita. La morte invece, si faceva sempre più vicina, più violenta, a causa delle sue azioni, e non avrebbe aspettato. La sua morte non sarebbe stata qualcosa di inaspettato, giudicandolo dal suo modo di fare, dal suo nome che era già stato scritto da qualche parte, era già stato notato.
Matthaus in quel momento stava riflettendo, su una cosa non ben definita guardando l'orizzonte, anch'esso bipolare, che cambiava spesso le sue sfumature in quella mattinata di maggio.
Era maggio e l'aria era sorprendentemente estiva, infatti Matthaus si sentiva di essere in una mattinata d'agosto infantile, senza scuola e pensieri, ma solo la bambinesca voglia di giocare con gli amici. L'erba della collina in cui si trovava gli pizzicava violentemente la mano, lasciandola rossa.
Rifletteva e ripensava alle sue scelte e alla sua vita; non voleva essere come gli altri, ma doveva esserlo se voleva far parte della società, se voleva apparire normale, e non finire dietro le sbarre per sempre o perfino morto.
Voglio dire, non avevano pietà per le persone che non erano d'accordo o che non rispettavano le loro idee, nemmeno davanti ad un bambino, immagina se avessero pietà per un quattordicenne, che non stava tutto il giorno a sbavare dietro il governo e a mettersi una stupida uniforme.
Le sue mani erano sotto la testa e sopra la terra e il verde, con un sorrisetto in faccia canticchiava stranamente allegro una canzone; "It don't mean a thing, if it ain't got that swing, well it don't mean a thing, all you got to do is sing"
Poi si fermò; "Ahh, Ellington, il genio della musica" sospirò.
Nessuno al suo posto sarebbe stato così tranquillo in quella situazione.
"Eccolo!" Un'uomo stava camminando sulla stessa collina in cui si trovava il ragazzo. Aveva corso ed era esausto e senza respiro.
L'uomo si girò e ricominciò ad urlare.
"Schmitz! Eccolo! Quel ragazzaccio di Müller!"
Provò a dire, ma essendosi sforzato, per una persona come lui, sembrava sul punto di morire.
Quel paffuto e rotondo del comandante Schulz e il suo migliore amico, Schmitz, come sempre, a mano per la mano, gli stavano dando la caccia.
Quella era la terza volta in quel mese, e di sicuro non era l'ultima.
Schmitz comparse dietro al collega, con i suoi soliti baffoni e il suo manganello nero che aderiva perfettamente alla sua divisa.
"Müller vieni subito qui!" Disse irritato
Matthaus Müller, il loro famoso ricercato, si staccò come una saetta dal verde per rincorrere una via d'uscita.
Schmitz gli andò subito dietro come un'ombra sventolando il suo manganello, Schulz, ancora con il fiatone li seguì con la sua solita lentezza nel fare qualunque cosa, sistemandosi il berretto e la camicia nera, correndo come una ragazzina.
Sembravano essere usciti da un cartone animato.
Tra i negozi e gli edifici del villaggio si sentiva la potente risata del ragazzo, che si faceva inseguire dai due poliziotti, un po' buffi.
I suoi vestiti davano d'occhio, e le persone che guardavano quei tre potevano capire il perché fosse inseguito; Indossava scarpe da ballo bianche, un po' sporche, pantaloncini marrone chiaro, una giacchetta e una camicia a bottoni nera.
Alla camicia c'erano attaccate delle spille, in una c'era la bandiera dell'impero britannico, in un'altra la bandiera americana, e nella borsa a tracolla che trotterellava di qua e di là seguendo i suoi passi c'era la cosa che attirava più l'attenzione; una spilla di una stella alpina.
"Edelweiss" c'era scritto intorno al fiore disegnato "Piraten"
Tutti potevano capire da quelle piccole cose che andava contro Hitler.
I tre saltellavano di qua e di là fregandosene dei passanti e dei negozianti che li guardavano e giudicavano sbalorditi.
La strada per Matthaus diventava sempre più piccola e stretta, sarebbe finita tra un po' e non avrebbe più avuto una scorciatoia. Sarebbe finito tra le mani di uno dei poliziotti tra poco.
Senza far male alla vecchietta di turno, come un razzo si catapultò da un'altra parte, lasciando la strada dritta.
Era entrato in un'edificio.
In particolare si trovava all'ingresso di un'edificio.
Era silenzioso, non c'era traccia di rumore se non il fiatone che aveva guadagnato da quella corsa.
Il silenzio era così forte, che era quasi rumoroso.
Il ragazzo rimase accovacciato mentre si guardava in giro; era grande per essere un'ingresso, il pavimento era in marmo e le pareti avevano il loro stesso colore, giallo chiaro. Non c'era anima viva.
Oltre al niente c'erano attaccate alle pareti degli scaffali, pieni di libri.
Matthaus sbuffò e roteò gli occhi:
"Non mi dire che sono piombato in una biblioteca" si disse fra sé.
Non poteva immaginare cosa sarebbe successo non appena avrebbe aperto il pprtone che si trovava davanti a sé.
Si sarebbe ritrovato faccia a faccia con la solita e classica bibliotecaria che riteneva sacro il silenzio, e che forse, riconoscendolo, lo avrebbe spedito subito fuori.
Il suo volto era molto noto per le persone di quel piccolo villaggio, una volta la sua foto era stata perfino messa in un giornale e per le strade di Colonia.
Ma considerando la sua situazione era meglio starsene in un posticino così che affianco a Schmitz e Schulz.
Si, avrebbe gattonato al posto più sicuro, tra i libri e gli scaffali, che avrebbe potuto trovare senza farsi vedere.
Il ragazzo aprì la porta nel modo più lento che aveva avuto in tutta la sua piccola vita.
Entro su quattro gambe, abbassandosi sempre di più, ma aveva ragione prima, non c'era anima viva!
Si alzò subito e ritornò normale. Si guardò intorno con una faccia talmente confusa.
C'erano solo i libri e il loro vecchio odore.
È vero, si trovava faccia a faccia con un bancone, dove solitamente si trovava la bibliotecaria, ma la sedia che gli era dietro era vuota.
"Ma che..." Sussurrò Matthaus.
Si addentrò sempre di più in quel posto, visto che era libera, e non c'era nessun'altro se non lui. Passò per i ripiani e per le librerie, piene, ma che allo stesso tempo davano una triste e calma atmosfera insieme al luogo, e non c'era ancora segno di vita o rumore, se non lui, il suo respiro e i suoi passi.
Dentro di sé aveva ritrovato la tranquillità; non c'era nessun poliziotto che lo inseguiva, nessuna faccia disgustata che lo scrutava fino in fond...
Una ragazza gli spuntò affianco.
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I NOSTRI DESTINI
Historical FictionLa storia che vi sto per raccontare parla di due vite; quella di Matthaus Müller, tedesco, fanatico della vita americana, dello swing e del jazz, leader di una piccola pattuglia di giovani ribelli in un piccolo villaggio della Colonia, simpatico, vi...