Vetri nell'oscurità

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Erano in macchina, loro due. Una sera autunnale con il cielo limpido e sognante. E nero corvino senza ombra di stelle, come un mare di velluto notturno.

Le ruote della vecchia Toyota scalcinata scivolavano veloci sull'asfalto di una strada periferica e poco trafficata: un lungo nastro scuro che tagliava la campagna come una cicatrice.

Il silenzio era rotto solo dai brontolii della radio, un ferro vecchio che probabilmente risaliva a cinquant'anni prima. Con uno sbuffo stizzito, lui abbandonò per un istante il volante, e le diede uno scossone. La radio rispose con un gracidio risentito, prima di emettere un continuo, lugubre segnale di statica.

Gli occhi di lui cercarono lei, che rispose con un ammaliante sorriso obliquo. Non si dissero una parola: il loro era un sentimento calmo e profondo come l'oceano. E, come l'oceano, senza confini. Il loro, entrambi lo sapevano, era un sentimento eterno.

Lei posò il capo sulla spalla di lui, che ridacchiò appena, mesto e intenerito dall'amore. Chiuse gli occhi, abbandonandosi alle sensazioni: sentiva il contatto caldo e sicuro della spalla di lui, il suo odore, il ritmo del suo respiro, persino il battito del suo cuore. Si lasciò cullare dai sensi, assecondando il movimento della macchina, che ogni tanto dava qualche sobbalzo su quella stradetta dissestata.

Fu un istante.

Qualcosa colpì il parabrezza, mandandolo in frantumi.

Lui imprecò, stupito e vagamente spaventato.

Poi urlò di dolore, quando i vetri gli penetrarono nella carne.

Perse il controllo dell'autovettura, che iniziò a sbandare, con un fragore e uno stridio inauditi.

Lei sbattè la testa con violenza contro qualcosa di duro e freddo. L'ultimo pensiero cosciente che le sibilò in testa fu che non era più adagiata sulla spalla di lui, che aveva perso quel contatto familiare e rassicurante.

Si ritrovò in piedi al buio.

Si volse intorno, in quella cieca oscurità: se non fosse stato per il terreno duro sotto i suoi piedi, avrebbe creduto di galleggiare in un mare d'inchiostro. Lontano, all'orizzonte, vide delle luci, nebulose e rimpicciolite dalla distanza.

Una città, si disse, vagamente rassicurata.

Intorno a lei, però, era tutto così buio! Non riusciva nemmeno a capire dove stesse mettendo i piedi. Mosse qualche passo, incerta, temendo ogni secondo di inciampare contro un ostacolo invisibile.

Aveva paura e sentiva freddo.

Dov'era lui?

La domanda la raggiunse luminosa e fredda come un lampo in quell'oscurità opprimente. Ruotò su se stessa e guardò indietro.

Allora, vide la macchina: era devastata, un inferno contorto di lamiere taglienti. Il parabrezza era sfondato, completamente, e la vettura sembrava accartocciata su se stessa, come se fosse stata schiacciata dalla mano di un gigante crudele.

Vetri erano sparsi sull'asfalto, tutto intorno, e luccicavano silenziosamente nel buio.

Lei si mosse verso la macchina, chiamando con voce strozzata il nome di lui, cercandolo, desiderandolo.

Ma lui sembrava essere sparito. Non era da nessuna parte. L'inquietudine allagò la sua mente, mentre si avvicinava alla carcassa della macchina.

Fu in quel momento che percepì, più che vederla, la sagoma di una persona nelle tenebre.

Tarchiata, solida,quadrata: un uomo. Che le veniva incontro con una strana andatura dondolante,sbilenca. Caracollava verso di lei senza emettere un suono, scivolando con sorprendente rapidità sul suolo nero    


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