32 - Mingi

21 1 3
                                    

Con ogni giorno che passava, la situazione sembrava peggiorare sempre di più. Solitamente il cibo scarseggiava e il cammino era ancora tanto. La maggior parte dei ragazzi non si era fatto scoraggiare dal contesto, dando un po' di speranza agli unici che erano sul punto di arrendersi.

Anche se la cosa in cui ci eravamo buttati a capofitto, completamente sicuri di noi stessi, aveva preso una piega preoccupante. Hongjoong poteva già essere stato ucciso, conoscendo Seventeen, e tutto il nostro lavoro avrebbe potuto essere inutile.

"Non mangi?"

Guardai Jiselle mentre mi offriva il suo piatto ancora mezzo pieno. Guardai anche le sue dita, lunghe e quasi scheletriche. Era dimagrita molto. Sembrava sottopeso, e forse lo era.

Non era la prima volta che offriva un po' del suo cibo agli altri, e sembrava che si preoccupasse più di noi che di sé stessa.

"Ne hai più bisogno tu," affermò lei decisa. Il suo tono non ammetteva repliche, ma mi sprecai comunque a ribattere, sapendo però che era una battaglia già persa dall'inizio.

"Non è vero. Io ho già mangiato, tu no," ribattei.

Anche il mio tono aveva la sua stessa decisione.

Jiselle, anche in quel momento, non si arrese. "Stai zitto e mangia, tu sei più grande e quello che hai mangiato non ti basta. Adesso prendi e mangia."

Sbuffai e continuai quella conversazione. "E ti pare che quello che hai mangiato tu ti basti? Beh, ti sbagli," dissi. "Non è giusto che tu debba sprecarti così per gli altri. Non te ne rendi conto? Ti farà male."

"Non mi interessa."

"Sei testarda."

"Sì, quindi adesso tu mangi."

Alzai gli occhi al cielo e presi il suo piatto, ma prima che potessi solo averne un morso qualcuno – fortunatamente – mi interruppe. "Jiselle, per favore, posso io il tuo cibo? Ho fame," si lamentò Jongho con le mani giunte. Io e la ragazza ci scambiammo un'occhiata e lei annuì. Riluttante, passai il piatto a Jongho, che si avventò sul cibo come se fosse rimasto a digiuno per una settimana. "Grazie mille, Jiselle" disse poi quando finì di mangiare.

Lei annuì in segno di riconoscimento, sorridendo, poi si appoggiò al muro scrostato della sala da pranzo (quella dell'hotel che avevamo occupato il giorno prima). Sembrava non riuscisse a reggersi in piedi, e provai una fitta di pena solo a guardarla da lontano.

Poi Seonghwa si avvicinò a lei e si mise davanti a lei. Cominciarono a parlare tra loro, ma non potevo sentire niente di quello che dicevano perché erano troppo lontani da me.

"Che schifo questo posto... quando ripartiamo? Sto per avere un attacco di vomito," esclamò San ad un certo punto. La sua canottiera che prima era bianca era bucata in certi punti ed era quasi grigia. Aveva una macchia di sangue sotto il labbro.

"Si chiama conato di vomito, stupido" lo corresse Wooyoung. Più o meno, anche lui era nelle stesse condizioni, pieno di lividi violacei sull'avambraccio sinistro, anche se ostentava di stare bene.

"Stessa cosa..."

Seonghwa, nel frattempo, staccò di forza Jiselle dal muro e si avvicinò a noi con passo affrettato. Tutti lo notammo e ci voltammo verso di lui.

"Okay, ragazzi, fuori da qua."


I piedi mi facevano male e mi sentivo le ginocchia molli. Avevamo camminato per quasi due chilometri – non tutti di seguito, ovviamente – però nessuno aveva osato aprire bocca se non per chiedere l'ora. I miei pantaloni erano strappati in alcuni punti e negli stessi punti c'erano dei graffi ancora superficiali.

Yeosang si appoggiò alla corteccia di un albero per riprendere fiato, e Jiselle e Yunho fecero lo stesso.

Seonghwa, cosciente della nostra stanchezza, si girò e smise di camminare per rassicurarci. "Ragazzi, manca poco alla prossima città, meno di mezzo chilometro." Indicò il punto in cui gli alberi cominciavano a diradarsi e da lì, proveniva una luce. "Potete fare questo sforzo per Hongjoong?" aggiunse poi.

Sentendo il suo nome, la mia schiena si raddrizzò e pregai che tutto il dolore se ne fosse andato presto. Certo che lo farò per lui, pensai convinto.

Il mio sguardò si spostò su Jiselle, poi su Yunho, entrambi ancora contro l'albero. Soprattutto sulla ragazza, dovevo ammettere. Sembrava quella presa peggio tra i due, infatti le sue braccia erano cosparse di cicatrici più profonde delle mie e stava tremando leggermente. Anche lei aveva qualche piccola macchia di sangue un po' dappertutto.

Dopo un po' di tempo riprendemmo a camminare – Jiselle camminava di fianco a me – e arrivammo finalmente ad una città quasi abbandonata. Rimanevano più o meno una trentina di persone, tutte sull'età avanzata e quindi chiuse in quella cosa che non era degna di essere chiamata nemmeno villaggio.

Le case erano quasi tutte condomini, appartamenti o case popolari, cioè cose economiche che solo delle persone chiaramente povere avrebbero comprato.

Quel villaggio aveva una brutta fama per essere stato popolato dalle peggio persone, come spacciatori, mafiosi, trafficanti vari e cose del genere. Nemmeno Hongjoong si fidava di quel posto, quindi era pericoloso.

Uscimmo dai boschi lentamente e ci trovammo davanti ad un condominio diroccato. Seduto su una panchina, un vecchio fumava una sigaretta consumata.

Seonghwa guidava il gruppo con passo deciso, lasciandoci poco tempo per recuperare le energie. Evitava le strade principali, quindi ci fece inoltrare dentro un vicolo buio, rischiarato solamente dalla debole luce del sole che penetrava dai tetti dei condomini.

Il vecchio alzò lo sguardo su di noi per un attimo, e incontrai i suoi occhi, azzurro ghiaccio, con i miei. Un piccolo brivido mi attraversò la spina dorsale.

Ignorai quella vista, tentai di tutto pur di non incontrare lo sguardo di quel vecchio che pareva un ubriaco. Quando ci passai davanti, abbassai immediatamente lo sguardo e feci finta che quella persona non esistesse, come gli altri.

Per un paio di secondi, credetti che tutto andasse bene. Jiselle mi sussurrò all'orecchio. "Sembra un pedofilo, madonna," disse e prima che potessi realizzarlo, ridacchiai al suo commento disgustato.

"Ti giuro," risposi con un piccolo ghigno. "Ma dopotutto è solo un vecchio povero e stupido" aggiunsi, facendo ridacchiare Jiselle a sua volta.

Tutto andò bene, e i ragazzi cominciarono a sussurrare tra loro. Ci appoggiammo ai muri di un condominio non troppo lontano da quello dove c'era il vecchio che fumava.

Non ci accorgemmo del fatto che il suo sguardo, distante pochi metri da noi, quindi avevamo pensato che quello era il momento giusto per riprendere fiato e recuperare le energie perse.

Accadde tutto in un momento, che sentimmo una voce roca che veniva esattamente dal punto dov'era seduto il vecchio.

"Ehi, che bella ragazza."

JEALOUS BOYSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora