PARTE 1

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I miei genitori dicevano che era normale cambiare scuola in secondo superiore. Dicevano che non era strano, c'era tanta gente che lo faceva. Eppure quella notte non avevo dormito un minuto: se la gente fosse stata antipatica? Se non fossi entrata nel gruppo giusto? Se mi fossi vestita male? Lo sapevo che erano solo paranoie eppure allo stesso tempo ci credevo profondamente.
Mentre mi torturavo pensando a ogni singola disgrazia possibile nella mattinata a venire suonò la sveglia delle 6:30. Quindi andai in panico, ancora non avevo scelto cosa mettermi come truccarmi come comportarmi e la scuola cominciava un'ora e mezzo dopo. Oh no, mancavano 90 minuti all'inizio della scuola, la durata di una partita di calcio. Anzi, di meno perché a calcio ci sono i recuperi la pausa tra i due tempi, a volte anche i supplementari e i rigori. Poi in quel momento mi resi conto che ragionare sulle partite di calcio non mi avrebbe aiutato.
Un sospiro e poi l'altro. Ok, potevo mettermi la magliettina grigia quella che arriva poco sotto l'ombelico e come pantaloni i jeans larghi azzurri. Forse erano meglio quelli a zampa? No, quelli a zampa erano a lavare. Bene. Ora tocca alle scarpe. Che scarpe potevo mettere? Le jordan non erano male, quelle andavano abbastanza bene, come scarpe erano carine. Per fortuna pensai, con quello che erano costate.
Come erano messi i miei capelli? Dai mica male, sono riccia, mi poteva andare peggio. Magari un po' di schiuma? No, avevo i capelli asciutti, dopo si indurivano. Bene, toccava al trucco. Full face o solo un po'di mascara e correttore? Quello era un giorno da full face. Sì, l'aria profumava proprio di full face.
Mentre armeggiavo con i trucchi in preda alle mie ansie il blush fece un volo dalla mia mano fino al pavimento. Il blush era di rare beauty. 30 euro di blush in polvere finiti così, frantumati sul pavimento. Quel blush lo avevo comprato una settimana prima era nuovo, come la pelle di un bambino, come i petali di un fiore appena sbocciato- Cos'era vena poetica che mi era partita? Dovevo tornare al mio trucco, ero in ritardo. Cioè non lo sapevo se ero in ritardo, può essere. Io mi sentivo in ritardo ed era questo l'importante.
Dopo un tempo non determinato, nel senso che non sapevo quanto minuti fossero passati, la mia full face era terminata. Ancora mi sentivo in ritardo quindi ripresi il mio cellulare aggrovigliato tra le coperte e controllai l'orario convinta fossero tipo le 7:30. Erano le 6:45. Mancavano 75 minuti per l'inizio della scuola. Adesso che facevo per tutto quel tempo? Ero pronta.
Inspiro, espiro. Inspiro, espiro. Inspiro, espiro.
Poi arrivò l'illuminazione, avrei giocato a subway surf.
Dopo una bella mezz'ora a surfare sui treni scesi giù per la colazione.
Mi madre mi aspettava tutta raggiante in cucina con la mano appoggiata al tavolo. Era un'immagine inquietante. Era troppo felice. No, così non andava bene. Spruzzava felicità da tutti i pori e questo non mi piaceva affatto.
Sulla tavola aveva organizzato tutti i piattini e i cucchiaini per mangiare il tiramisù, magari aveva capito che avevo dormito poco e pensava che con il caffè mi avrebbe ritirato su, letteralmente, visto che era un tiramisù. No, mi ero promessa di smetterla con queste battutaccie.
Poi guardai meglio le posate, i piatti e i bicchieri erano quelli buoni, non quelli di tutti i giorni. No, scherzavo, erano quelli intermedi, un po' meno buoni di quelli buoni. Comunque non erano quelli di tutti i giorni. Perché doveva ricordarmi che quello era un giorno diverso, speciale e non un giorno comune e noioso come tutti gli altri?
Comunque il tiramisù era buono e tutto andava bene finché stavo mangiando beata. Poi guardai l'orologio: 7:30. Era giunta l'ora. Dovevo andare a scuola.

High School RevengeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora