Uscii sul balcone, anche se le giornate si stavano allungando, l'umidità dal terreno era aumentata con l'arrivo delle prime piogge e mi appesantiva il respiro. O forse, era la mia coscienza.
Le barriere nella mia mente avevano fatto il resto. Un cazzo di errore grammaticale, l'unica cosa che ero riuscito a buttare fuori, quando sulla mia lingua correvano confessioni che sapevano dell'amaro delle droghe che mi dava Taryn, che gridavano "mostro".
Dopo il mio appunto se n'era andata con gli occhi lucidi. Non avevo nemmeno tentato di seguirla: ero sull'orlo di scatenare un altro inutile litigio.
Quella lettera aveva sgretolato le bugie che mi ero raccontato per anni. Nelle sue parole c'erano tanti, troppi sentimenti che avevo chiuso fuori dalla porta di quella casa.
Con me non ci parlava. Doveva scrivere a lui. Fu una scossa a nervi scoperti. Perché dovevo esserle d'aiuto quando c'era di mezzo lui? Perché non chiedeva aiuto a me? Io ero reale, ero lì, con lei.
No, c'era anche lui, e sembrava essere meglio di me. Quello che voleva lei.
Che idiota che sono a sperare di poterla aiutare con i suoi problemi. Non so risolvere i miei e mi sono rifugiato qui.
La luce della sua camera era ancora accesa.
L'ombra di Juno si muoveva dietro la tenda, col telefono in mano e il foglio dall'altra.
Chissà a chi sta parlando.
Chi era che in quel momento aveva la sua attenzione?
Avrei potuto essere io e lo desideravo più di ogni altra cosa. E mi odiavo, perché sapevo che l'avrei ottenuta con una facilità incredibile, sarebbe bastato dirle la verità. Che ero un mostro.
Il mostro che Taryn diceva che ero.
Meglio rimanere il secchione antipatico. Ma quel secchione antipatico, ogni giorno di più, desiderava essere apprezzato da lei. Lo sentivo anche in quel momento.
Se solo mi ricordassi di un momento passato insieme. Se fossi capace di farti passare un bel momento insieme a me. Senza voci nella testa.
In quegli ultimi tre anni ero stato solo in quella casa, a parte gli sporadici spostamenti per via di Taryn, o le visite a Chip e Cole insieme a Nathan. Mi ero abituato, anzi obbligato, a non avere persone intorno per lunghi tempi e a non perdere il controllo.
Ero stato bene.
Bastavo a me stesso.
La presenza di Juno aveva sconvolto tutto, mi aveva spinto a cercare sempre di più la sua considerazione. Avevo bisogno di essere il suo centro, in ogni momento. Ma, ironia della sorte, non ero io che ne ero capace. Non ero io che passavo i momenti più belli con lei. Avevo ricordi frammentati: lei che rideva, che si dondolava sulla sedia e prendeva appunti cantando EL.
E alla fine, era sempre lui al centro della sua attenzione.
Quella era la prima sera che si era rivolta a me dopo la rissa a scuola.
La scena dell'aggressione tornò vivida nella mia testa. Uno dei tre, che aveva un coltellino in mano, aveva buttato a terra Juno e una rabbia innata aveva preso il sopravvento. Avevo corso come una furia fuori dall'auto, spinto dal fuoco della mia ira. Ero lucido, presente, me stesso e basta. Ero tutta quella rabbia che mi ero imposto di controllare. Il tempo di un respiro e il tizio con la lama aveva la faccia sul cemento.
E se Nate non fosse intervenuto?
Il cuore mi batteva forte, il mio unico istinto era stato andare verso Juno e abbracciarla, per controllare che stesse bene, ma Nate l'aveva già aiutata, e la sua amica mi stava parlando, distraendomi.
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Pink Sapphire
General Fiction«Anche i tuoi regali devono avere dei nomi complicati. Lo zaffiro però è blu. L'ho visto nei libri». «È uno zaffiro speciale. Si trova solo in India. Invece di essere blu, è rosa. Ma è comunque uno zaffiro». Casa Simmons nasconde un segreto e Juno s...