Riflessi

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Tutte le stazioni ferroviarie sono uguali. Tranne quella di Venezia. Puoi sentire il richiamo del suo canto fin dal momento in cui scendi dal treno. Riconosci subito, dalla camminata, i turisti: il passo è lento, strascicato, il naso per aria. I pendolari, invece, camminano in fretta, con l'aria infastidita di chi deve farsi strada in mezzo alla gente senza averne voglia.

E poi ci sono io, che sto semplicemente tornando a casa. Il contrasto con New York è impietoso. Vorrei, con tutto il cuore, provare lo stesso odio che mi ha spinto ad andarmene, anni fa. Invece eccolo, il richiamo dell'anima, quel sapore di casa che mi mancava da tanto tempo. Una volta mia madre aveva detto che "Venezia è così: la ami o la odi. Come le grandi cose della vita non è fatta per le mezze misure."

Ho odiato Venezia con tutte le mie forze, tanto da fuggire. Ora la amo? Non so se ho la risposta a questa domanda, ma sono qui anche per scoprirlo, dopotutto. Passo davanti a una vetrina, ma sono così distratta da non rendermi conto di che negozio si tratti. La mia attenzione è attirata dal riflesso della mia immagine. I capelli, lunghi castani e leggermente mossi scendono liberi sulle spalle. I miei lineamenti sono stati definiti delicati, e una costellazione di lentiggini attraversa il viso. Ordinaria, così mi sono sempre definita. L'unica cosa che ho sempre amato di me sono gli occhi: entrambi chiari, ma di due colori diversi.

"Due mondi si incontrano nel tuo sguardo. L'azzurro del cielo sopra le distese di sabbia e l'ambra liquida di chi sa guardare oltre il tempo": così li ha sempre descritti la nonna. La fitta di nostalgia mi stringe il petto, impietosa, ma in fondo me l'aspettavo. Non ho pensato nemmeno per un istante di poter venire qui, per la prima volta dopo anni, e non ricordare l'unica persona che mi aveva reso tollerabile questo luogo.

Una figura femminile compare sul vetro, dietro di me, e i nostri riflessi per un momento si fondono. Mi volto e percorro di corsa i tre passi che ci separano.

"Mamma!"

Mi perdo nel suo abbraccio e, nonostante non sempre siamo state in sintonia, mi rendo che conto che solo ora, che sono con lei, posso dire di essere a casa.

"Non era necessario che venissi a prendermi, volevo camminare per la città... vederla."

Lei sorride. "Lo so, tesoro, ti conosco. Ho portato Max per prenderti la valigia. Lui ci precederà in barca, mentre noi camminiamo insieme."

Scuoto la testa. Ho perso il conto delle tante volte in cui avevo pensato di chiederle di venire a prendermi, di camminare insieme per Venezia, perché questa Vecchia Signora decadente, affrontata da sola, mi fa paura. Non l'ho fatto perché non volevo che vedesse le mie fragilità. Tuttavia, lei è mia madre. È sempre stata un passo avanti. E come Venezia, anche lei è stata odiata profondamente per questo. E anche per lei ora sento qualcosa di così diverso da non riuscire a dargli un nome.

Max compare e solo in quel momento mi accorgo che si era tenuto in disparte. "Bentornata signorina", mi saluta, con uno sguardo affettuoso e fiero.

"Grazie Max, è bello rivederti!"

Lui abbozza semplicemente un cenno del capo e poi ridiventa subito professionale, avvicinandosi a me, prendendo le mie due valigie e lasciandomi sola con la mamma. Giurerei di aver sentito tirare su col naso, come per trattenere una profonda commozione, ma Max morirebbe prima di ammetterlo, quindi sorrido dentro di me e mi rivolgo verso mia madre.

"Sei pronta, tesoro?"

Annuisco e prendo il braccio che lei mi porge. Usciamo insieme dalla stazione e la vista del canale, il vociare delle persone, l'inconfondibile odore misto di mare, alghe e persone, mi invade.

Qualcosa mi annebbia lo sguardo e solo dopo un secondo mi rendo conto che sono lacrime. Mamma mi prende la mano, sorride e mi accompagna giù per gli scalini. A ogni gradino sono sempre più veneziana e sempre meno newyorkese.

"Queen!"

Il mio nome, pronunciato da quella voce, mi fa trasalire. Ho un piccolo mancamento, ma lei è lì a sostenermi.

"Gli hai detto tu che stavo tornando?", chiedo.

Lei alza le sopracciglia. «Avrei dovuto? Tesoro mio, hai postato tu il tuo viaggio su Instagram, potevi immaginare che l'avrebbe visto anche lui.»

Lo guardo freddamente. "Buongiorno Paolo."

Il suo sorriso sicuro vacilla, ma mi tende la mano. "Andiamo Queen, sono passati più di dieci anni. Non credi che sia arrivato il momento di perdonarmi?"

"No."

La mia non è una risposta, è una sentenza. Il sorriso svanisce dal suo volto, mentre gli passo davanti e mi dirigo verso il Ponte degli Scalzi. Mia madre resta in silenzio e apprezzo infinitamente il fatto che non stia commentando.

QUEEN - Figlia del ChaosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora