Otto anni prima

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Ogni mio gesto era accompagnato da una rabbia sorda. Avrei voluto tornare a casa prima quella sera, e invece no: Jenny si era fatta male e mi era toccato sostituirla. Odiavo le sfilate. Non c'entravo nulla con quel mondo, fatto di sorrisi e bagliori dorati. Detestavo essere guardata dall'alto in basso, come se non fossi degna di fare altro che consegnare bicchieri di champagne e portarli via una volta svuotati.

Che ne ne sapevano loro di me.

"Saresti più carina se sorridessi un po', non ti pago per tenere il broncio."

Mi ero girata verso Anton, il mio capo. "Se per quello non mi paghi nemmeno per servire alle sfilate. Dovrei stare al bar, che oggi chiudeva in anticipo, quindi tecnicamente non dovrei trovarmi qui. Sono un fantasma, e i fantasmi non sorridono."

"Spiritosa!"

Gli avevo mostrato un sorriso falso ed esagerato.

"Così vado bene?"

Lui era scoppiato a ridere. "Vai a fare una pausa, ti concedo un quarto d'ora, non di più. Siete solo in tre e qui è pieno di gente."

"Suppongo che sia il tuo modo per dirmi: grazie Queen che mi stai salvando il culo."

Avevo sorriso di nuovo, questa volta per davvero, e mi ero allontanata prima che potesse mandarmi a quel paese.

Ero uscita dal retro del backstage e lui era lì. Seduto sul bordo del marciapiedi, con una sigaretta in mano e lo sguardo perso. L'avevo riconosciuto come uno dei modelli, e infatti la sua bellezza era disarmante. Ma qualcosa nel suo sguardo mi aveva colpita già durante la sfilata (a cui ero stata mio malgrado costretta ad assistere).

"Ciao", dissi avvicinandomi. "Giornata dura?"

Lui aveva alzato la testa per guardarmi. "Mai quanto la tua, a quanto pare", aveva risposto, facendomi segno di sedermi accanto a lui. Era una delle rare persone che profumava di vero. "Diciamo che non mi vedo qui tra cinque anni, ma mi paga gli studi di psicologia", aveva continuato. Aveva ancora il make up da sfilata, i capelli rigidi tenuti su a formare una cresta piena di punte, orecchini che coprivano tutta la superficie dell'orecchio destro e metà di quello sinistro, un top trasparente che metteva in mostra un fisico eccezionalmente curato. Sembrava una statua greca, ma con un fare provocatorio da starlette anni '20.

"Beh, nemmeno io mi vedo qui tra cinque anni, ma sta pagando le mie ricerche."

"Ricerche?"

"Ecco è... una lunga storia."

Lui mi aveva guardato sorridendo, con quegli occhi grigi magnetici. "Adoro le storie lunghe. Sono quelle che vale la pena ascoltare, di solito."

"E tu? Qual è la tua storia?"

Lui aveva roteato gli occhi, con fare teatrale. "Tesoro, io cambierò il mondo. Per quello studio psicologia. Mi serve per capire meglio la mente umana."

"Auguri", avevo risposto. Ero ancora troppo ferita da quello che aveva fatto Paolo per avere fiducia nella "mente umana".

Lui aveva reagito in modo insolito. Aveva riso. Di cuore.

"Adoro il modo in cui cerchi di convincerti che non credi nella bellezza delle persone."

"Non mi conosci, che cosa ne sai? E comunque non mi sembra che le persone facciano di tutto per mostrarla, quella bellezza, no?"

Lui mi incuriosiva. C'era una sorta di profondità nei suoi occhi, nel suo modo di parlare e di muoversi. Era diventato serio di colpo, alla mia domanda.

"Chi ha detto che non ti conosco?", aveva risposto poi, con uno sguardo indecifrabile e un sorriso da presa in giro.

Anton era venuto a chiamarmi prima che potessi rispondere, prima che potessi chiedere il suo nome. La sera dopo era venuto al bar e... ogni sera da allora. Daniel "Silver" Hawkins mi aveva accompagnata in ogni passo, eravamo diventati inseparabili, al punto che gli altri nostri amici ci chiamavano "The Silver Queens", le regine d'argento, giocando con i nostri nomi.

E domani, finalmente, sarà qui, a Venezia. Ne avevamo parlato tante volte, di venire qui insieme. Ma io non ero ancora pronta a tornare.

E forse non lo sono nemmeno adesso.

Sono così assorta nei miei pensieri che non mi accorgo di aver deviato dalla via di casa. Mia mamma sta parlando con un uomo che non conosco. Il suo gesticolare deciso è rassicurante. Lei è sempre stata così, elegante e aggraziata anche quando sta dando ordini a qualcuno. Mi giro per continuare a camminare, ma mi trovo davanti a un paio di occhi azzurri piazzati come fari su un viso attraente.

"Scusi", mi dice, spostandosi sulla sinistra per farmi passare.

Peccato che io abbia avuto la stessa idea. E che entrambi abbiamo l'idea di spostarci dall'altra parte, e poi di stare fermi in attesa che sia l'altro a muoversi. Non posso fare a meno di scoppiare a ridere.

La prima vera risata da quando sono tornata in Italia.

Anche lui ride, ed è come se qualcuno, finalmente, avesse acceso una luce.

"D'accordo, passi prima tu, ok?", gli dico.

"Oppure possiamo stare qui a guardarci. A me non dispiace affatto."

Solitamente abbasserei il viso, per nascondermi. I complimenti, anche quelli velati, mi imbarazzano. Ma non voglio distogliere lo sguardo da quei laghi profondi che ha al posto degli occhi. I suoi lineamenti sono al tempo stesso delicati e forti, la barba elegante e ben curata. Ma è l'espressione a catturarmi. Mi sento come se il centro dell'universo abbia deciso di venire a fare due passi qui a Venezia per mettersi a osservare me. L'infinito e il niente sono racchiusi in quel volto.

Una comitiva di ragazzini in gita passa accanto a noi e uno di loro mi scontra. Mi giro per rispondere alle sue scuse, ma quando torno a guardare davanti a me non c'è più traccia dell'universo. C'è solo mia mamma, che sorride e mi dice che sta organizzando una festa di benvenuto per Silver.

"Queen... ci sei?"

Mi scuoto. "Scusa, ero distratta."

"Davvero? Non mi ero accorta, eri così attenta e partecipe!"

Sorrido, in segno di scusa. Siamo quasi arrivate a casa.

"Ti stavo chiedendo se Silver ama le feste", ripete mia madre.

"Non hai idea mamma, a volte penso che abbia creato lui il concetto di festa!"

QUEEN - Figlia del ChaosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora