Tornare a casa, dopo... beh, tanto tempo... ha un sapore dolceamaro. Sa di lacrime che si mescolano alla pioggia, come nel giorno del suo funerale.
Nonna.
La migliore amica che avessi mai avuto. Con lei esploravo Venezia e le sue calli, avventurandomi alla ricerca dei posti più improbabili. La porta più storta, la calle più stretta, lo scalino più alto... Mi mostrava il mondo e io glielo restituivo colorato del mio sguardo.
Venezia non è più stata la stessa quando lei è andata via. Forse, se ci fosse stata lei, non sarei mai andata a New York. Non avrei conosciuto Silver. A volte gli intrecci dell'esistenza si prendono gioco di noi, girandoci attorno come monelli di paese alla ricerca di qualche spicciolo. E noi li accontentiamo, donando i nostri pensieri, le emozioni, i ricordi, in cambio della possibilità di andare avanti e non sentire più quel dolore soffocante.
A New York sono tornata a respirare.
Il suono di un messaggio in arrivo mi riscuote e mi rendo conto di essere ancora sulla soglia. Entro, come si potrebbe entrare in un santuario. Max, impeccabile come sempre, mi fa un leggero inchino.
"Bentornata a casa, signorina Queen", mi dice.
Gli sorrido. Anche Susanna, la cuoca, è arrivata ad accogliermi, ma lei non è impeccabilmente inglese come Max. Mi investe con il suo affetto, circondandomi con le braccia paffute. Il profumo di pane appena sfornato invade le mie narici e i miei sensi e io non sono più la giovane imprenditrice che torna a casa dopo aver realizzato i suoi progetti all'estero, ma sono solo Queen, la bambina che aveva fatto la marachella e veniva consolata in cucina, al riparo dallo sguardo severo di mamma.
"Santo cielo, ragazza mia, fatti guardare! Ma come sei cresciuta!", mi dice, staccandosi e guardandomi con le lacrime agli occhi.
"La signorina Queen aveva diciott'anni quando è andata via, quanto potrà mai essere cresciuta?", interviene Max, con il tono di chi sottolinea l'ovvio.
"Appunto, Max, appunto! Era una bambina! Guardala ora! Buon Dio, sei proprio una bellezza!"
Mia mamma osserva in disparte. Sorride. Max e Susanna sono arrivati con lei, quando sposò papà. Il patriarca della famiglia Cantarini aveva in quel modo messo a tacere le voci riguardo alla gravidanza della figlia, la quale, per di più, si sarebbe sposata con un americano. Permettere alla figlia di portare via con sé parte del personale dalla residenza di famiglia, sebbene fossero i più giovani e inesperti, era stato il suo modo per dire a tutti che approvava il suo matrimonio. Dopotutto, anche lui aveva sposato una straniera, un'inglese che aveva conosciuto per caso, un giorno d'estate.
La nonna.
Mamma si avvicina, come se mi leggesse nel pensiero e volesse scacciare la malinconia che mi assale.
"Abbiamo preparato la tua stanza, tesoro."
Senza dire una parola la seguo, lanciando un'occhiata e un sorriso a Max e un bacio a Susanna. Max è troppo compìto, un bacio sarebbe troppo. Tuttavia non posso resistere e prima di sparire dietro l'angolo gli faccio un'occhiolino.
"Questa sera abbiamo ospiti a cena, tesoro. Se non te la senti non sei obbligata, ho già chiesto a Max di tenersi pronto per portarti ovunque tu voglia..."
Scuoto la testa. "No, mamma, va bene. Di chi si tratta?"
"Un vecchio amico di mio padre. Ho saputo ieri che passava da Venezia per affari e non ho potuto far altro che invitarlo. Credimi, so quanto odi queste cene, ma... possiamo rifarci domani, io e te. A pranzo al nostro solito posto?"
Oh mamma... riuscirò mai a dirti quanto tu mi sia mancata?
"A che ora devo essere pronta?"
Il sorriso si allarga sul suo volto. Adora quando sono presente a cene importanti e per lei, una delle eredi della nobile casa dei Cantarini, è importante mantenere i rapporti sociali che il suo rango richiede.
"Arriveranno alle 19", mi dice, lanciando poi un'occhiata al mio outfit da viaggio.
"Tranquilla", le dico, alzando gli occhi al cielo. "Mi cambio".
Lei esce dalla stanza, facendo un cenno con il capo, come a dire "mi raccomando, mi fido di te". Io mi sdraio sul letto. Ho sempre amato dormire in letti grandi, pieni di cuscini. Sono sicura che Susanna ha abbandonato il suo regno in cucina per supervisionare la preparazione della mia stanza. Allargo le braccia e chiudo gli occhi. La stanchezza mi invade, unendosi alle emozioni della giornata e accompagnandomi in un mondo tranquillo e silenzioso.
Mi sveglio di soprassalto, non so che ora sia, e per un momento ho il terrore di essermi persa la cena. Non che mi dispiaccia, ma non voglio deludere mia madre. Guardo l'ora sul telefono e mi rendo conto di non aver aperto il messaggio di Silver.
Ehi bellezza. Come stai? Non farmi stare in pensiero, non crederai che io possa aspettare domani all'aeroporto per avere notizie!
Sono le 18.40.
Bene, ma non benissimo. Ho solo venti minuti per rendermi presentabile.
Scendo velocemente dal letto e corro ad aprire la valigia, mentre cerco di rispondere a Silver con una mano sola.
Sto... bene. Stasera cena formale. Aiuto!
Tiro fuori l'abito blu, l'unico che ha un tessuto tale da non aver sofferto per essere stato pigiato in una valigia strapiena. Corro in bagno e mi tolgo i vestiti. Una doccia è fuori questione?
Non esiste che io scenda giù senza essermi fatta una doccia!
18.43
Posso farcela. Mi infilo sotto la doccia, prestando attenzione a non bagnare i capelli. Aver condiviso l'appartamento di New York con Silver per quattro anni mi ha resa velocissima. Quando il tuo coinquilino elegge il bagno come sua seconda casa, non hai molta scelta.
Esco dalla doccia e mentre mi asciugo controllo la risposta di Silver.
Oh piccola, tieni duro, domani vengo a salvarti! Chi dovrai sopportare stasera?
Un vecchio amico di mio nonno... immagina.
Auguri! Io vado, è arrivato il taxi. Ci vediamo domani. DOMANIIIIII.
Sorrido e metto via il telefono. Tanto a queste cene è ovviamente bandito.
18.52
Ho indossato il vestito, perdendo almeno un minuto per allacciarmi il bottone dietro al collo. Il vestito è sexy, aderente e con una profonda scollatura sulla schiena, le spalle scoperte, ed è lungo fino alle caviglie. Maledizione! Le scarpe!
Apro del tutto l'altra valigia, rovesciandone il contenuto sul pavimento. Scelgo un paio di scarpe col tacco alto, nere. Corro in bagno a truccarmi prima di infilarle. Non voglio morire prima del tempo. Per la fretta faccio un disastro. Non ho tempo di correggere: afferro una salvietta e tolgo ogni traccia di trucco dal viso, indossando solo un leggero strato di gloss sulle labbra.
Apro la porta e corro giù per le scale, con le scarpe in mano. Le indosserò appena scesa.
Ma l'ospite è già arrivato. Anzi... gli ospiti.
Resto imbambolata, in piedi sul secondo scalino, con i capelli sciolti e le scarpe in mano, mentre mia mamma si avvicina, soffocando un sorriso rassegnato.
"E questa è mia figlia Queen, è appena tornata da New York", sta dicendo, mentre io sorrido imbarazzata al vecchio signore col bastone, che fissa su di me un paio di occhi azzurri e... divertiti. Accanto a lui, lo stesso giovane uomo che ho incontrato stamattina.
I laghi al posto degli occhi.
Lo sguardo impossibile da ignorare.
Non ho ancora sceso gli ultimi due scalini. Sono ancora scalza. L'uomo anziano si avvicina, ma io non riesco a togliere lo sguardo dal suo accompagnatore. Mia mamma si schiarisce la voce. O almeno credo. Non so nemmeno dove sono.
"Piacere di conoscerla, Miss Sullivan. Io sono Dimitri Volkov, e questo è mio nipote Aleksander."
Aleksander Volkov. Anche i laghi hanno un nome.
"Sasha", si presenta lui, sorridendo. Mi tende la mano.
E io sto ancora tenendo le scarpe.
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QUEEN - Figlia del Chaos
FantasyDal cuore pulsante di Venezia alle antiche rovine di Petra, una nuova divinità emerge. 'Queen - figlia del Chaos' è un'avventura che sfida i confini tra reale e surreale, esplorando il sottile equilibrio che governa l'esistenza. Sei pronto a mettere...