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UNA SETTA DI DEMONI

L'odore di fumo impregnava le pareti in legno della casa diroccata. Jacob stava seduto su un divano ammuffito, confrontandosi in cerchio con gli altri sugli affari in corso. Le entrate rimanevano su buoni numeri, il commercio cresceva ogni giorno. La potenza economica della sua gang iniziava a farsi sentire nella zona, quella militare ad aumentare di unità di pari passo.

La casa abbandonata in cui si trovava in quel momento era la crack house[1] che fungeva da centro nevralgico dell'attività criminale; veniva adoperata come laboratorio per produrre le droghe da immettere nel mercato o come magazzino per le armi e i beni di prima necessità. Ci chiamava a raccolta i suoi scagnozzi più fedeli quando c'era da discutere su questioni scottanti o per tirare le somme sull'operato della gang. Si sfilò la Glock di tasca e ripulì l'otturatore. «Sentite... sembra che lo smorfioso di Mark non accenni a desistere», disse infastidito.

«Parli della relazione con tua sorella?», rispose Vincent, digrignando i denti cariati.

«Si. Jennifer mi ha riferito che lui non ha ancora fatto un passo indietro. Non ha intenzione di farlo, pare...» Il caldo nel rifugio era opprimente. Le finestre erano sbarrate affinché nessuno dall'esterno potesse lanciare un'occhiata sui traffici illegali che si consumavano nell'edificio.

Armando intervenne: «Dovresti dirle che ci pensi lei a porre un taglio a questa relazione. Risolveremmo subito il problema, evitando spiacevoli complicazioni». Il latino-americano aveva un mitra tatuato sul braccio.

«Mi credi uno stupido, Armando?! Già fatto, ovviamente, ma si è innamorata, cazzo. Non vuole. E io non voglio renderle la vita difficile... sapete quanto ci tengo a lei.»

«Quindi, che vuoi fare? Facciamo saltare il culo a quel pezzente?», propose Tony, il suo braccio destro, un grosso nero palestrato sfregiato in volto da una cicatrice.

Jacob ribadì, picchiettandosi il cranio rasato: «Non ancora. È una mossa che potrebbe costarci delle ripercussioni, se gli sbirri venissero a sapere che l'abbiamo fatto fuori». Tony si lasciò andare a una smorfia di disappunto. Era assetato di sangue, smanioso di scaricare il suo Draco su qualche opps[2]. «Per ora aspettiamo e continuiamo a intimidirlo, alzando un po' i toni... deve capire con chi ha a che fare».

Jacob si compiacque del fatto che, a prima impressione, uno sconosciuto avrebbe ritenuto quel ritrovo una setta di demoni, tanto era intriso di malvagità e disumanità. Serrò la mascella e proseguì: «A Mark conviene cedere. Non posso permettere una relazione di questo tipo: con quella feccia non voglio averci a che fare».

Sam chiese: «Intendi quell'altra gang?» Si passò la mano sulla pancia straripante di ciccia. Le treccine sulla sua testa erano spesse come delle liane di una foresta tropicale.

«Esatto. Sappiamo per certo che Mark è vicino a quell'ambiente, anche se il grado di confidenza con il quale ci si interfaccia è poco chiaro... ma basta questo per imporci di troncare sul nascere ogni possibile forma di avvicinamento a loro», terminò il discorso.

Gli altri gangster stettero in silenzio, poi ad un suo cenno di mano il cerchio si spezzò. La riunione era terminata. I suoi sottoposti tornarono alle mansioni concordate, chi a preparare chimicamente la droga nello scantinato, chi a dettare legge nell'hood con un'arma nascosta sotto la cintola. Jacob si sgranchì i muscoli. Era orgoglioso dell'impero che stava innalzando.

DI TRAVERSO

Jeff montò in sella alla bici e si spinse sul basso marciapiede. Goccioline di sudore gli imperlavano il petto nudo, pallido e secco. L'afa di quei primi giorni di luglio non tendeva a diminuire e a casa si era rotto il condizionatore. Sua madre gli aveva detto che a breve sarebbero venuti i tecnici a ripararlo. Con quelle temperature, abbondantemente sopra i trenta gradi, era invivibile stare in camera. "Devono sbrigarsi, altrimenti schiatto", pensò scocciato. Per l'unica volta invidiò i suoi genitori e l'ufficio in cui lavoravano. Se lo immaginò fresco e confortevole, a differenza di quella torrida bolgia della sua stanza.

"Farsi un giro in bici allevierà il tormento", considerò.

Si buttò in bocca una Chewing Gum a sigaretta e pedalò più forte. Una corrente d'aria solitaria, mimetizzata nel blocco di calura, gli punzecchiò piacevolmente la pelle. Erano le cinque di pomeriggio e nel quartiere dominava un placido silenzio, quasi completo, se non fosse per l'abbaio di un cane echeggiante dalle vicinanze.

Jeff svoltò a sinistra, avanzando con la bici a zig zag. Improvvisamente gli comparvero davanti dei volti noti. Frenò bruscamente per non investire le figure sconosciute. Li scrutò meglio: a pochi metri da lui si stagliavano i profili slanciati e muscolosi di Scott e degli altri del suo team di basket. Gli avversari di Chloè al campetto. Uno di loro, dal sorriso smagliante, esclamò strafottente: «Oh Oh, chi si vede. Il brufoloso, ahah». Scott ridacchiò. Di colpo l'avevano circondato. Non intravedeva vie di fuga e per un attimo gli mancò il respiro.

Un altro, che teneva un pallone da basket sottobraccio, lo prese in giro: «Quindi te la fai con quella negretta di Chloè? Ahah».

Jeff gli assestò uno sguardo glaciale. "Razzista di merda..." Cosa volevano da lui? I cinque giocatori lo strinsero nella loro morsa. Avvertì come di rimpicciolire. «È scarsa quella... lei e i babbei della sua squadra non ci batteranno mai», disse Scott con sicurezza. Lo colpì con una pacca sulla schiena. «Sei uno sfigato. Hai mai visto una vagina, per caso? ahaha», continuò Scott, perfido. Un altro lo supportò: «Figurati, Scott. Neanche quella di sua madre».

Jeff voleva scomparire. Lo stavano umiliando. Un impeto di ribellione lo ridestò da quello stato di sottomissione. Alzò la voce: «Lasciatemi in pace! Non vi ho fatto niente».

Ricevette di risposta uno spintone, che lo fece cadere dalla bici. «Pezzi di merda... troppo facile in cinque contro uno», mugugnò a denti stretti. Scott lo annichilì con lo sguardo.

«Che cosa hai detto? Non permetterti mai più!» Gli rifilò un calcio sul muso. Jeff guaì per il dolore. La gomma da masticare gli andò di traverso. Uno dei bulli fermò Scott, che aveva perso la pazienza e si dibatteva inferocito, e riuscì a trattenerlo. Come colpo finale Scott sputò a terra, nella sua direzione. I giocatori fecero marcia indietro e se ne andarono definitivamente, lasciandolo là da solo, senza sincerarsi delle sue condizioni.

Jeff si portò una mano sul naso e la ritrasse. Del sangue gli aveva sporcato le dita. Aveva subito un brutto colpo, ma il naso fortunatamente non sembrava rotto. Risollevò la bici e scrutò ferocemente in lontananza i ragazzi che l'avevano bullizzato. "A volte mi pare che il destino ce l'abbia con me... ok, sarò pure sfigato, ma così è troppo. Mi sono rotto di queste continue disavventure!"

Avrebbe raccontato quello che gli era successo a James. Voleva che la pagassero cara. Era finito il tempo in cui si lasciava sopraffare.


[1]Residenza utilizzata nel traffico illegale della droga. Spesso si tratta di edifici abbandonati devastati da incendi dolosi o lasciati nell'incuria. Qui le sostanze stupefacenti vengono preparate e talvolta anche vendute ai clienti.

[2]Membro di una gang criminale rivale alla propria, da considerare un nemico.

Summer '98Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora