La stanza era completamente buia. La candela era stata spenta oramai da diverso tempo e la miccia aveva anche smesso di emettere quella piccola linea di fumo. L'aria era pesante e densa ed il silenzio spezzato solo da respiri pesanti e dal suono cadenzato della cinghia che sibilava nell'aria.
Occultato nell'oscurità c'ero io col corpo nudo e provato. Ero inginocchiata sulla gelida pietra del pavimento. Il petto si sollevava ed abbassava freneticamente mentre cercavo di riprendere aria e attenuare il dolore che mi divorava le membra. Attorno alla mano destra avevo avvolto, ben stretta, una cintura che avevo trovato nella cassa, la cui estremità in questo momento pendeva nel vuoto.
Attesi pochi istanti e poi con quanta forza avevo in corpo ruotai il polso, sollevando allo stesso tempo il braccio per superare la mia testa e colpire nuovamente la pelle esposta della schiena. Accusai il colpo cercando di soffocare il dolore nel tessuto della camicia da notte che stringevo nella bocca. Sudore e lacrime mi rigavano il viso, gli occhi erano accesi da una rabbia incontrollabile che non riuscivo a calmare.
Se c'era un modo per espiare le mie colpe, quello era l'unico che conoscevo. Avevo tanti motivi per chiedere scusa, per punire il mio corpo per i peccati che mi portavo dietro. Non ero abbastanza coraggiosa da infliggermi la morte che il sigillo non mi aveva donato né ero altrettanto capace di andare avanti con la mia vita e abbracciare quella nuova realtà senza avere rimorsi e paura.
La pelle viva sulla schiena pulsava e rivoli di sangue continuavano a colare lungo la schiena fino a raggiungere il pavimento. Avevo perso il conto del numero di fustigazioni che mi ero inferta fino a quel momento ma sicuramente troppo poche per espiare la mia natura demoniaca. Il disgusto che provavo per me stessa era impossibile da lenire e le parole gentili che mi venivano rivolte servivano solo a acuire il dolore che provavo dentro di me.
L'unica fede era il cristianesimo e io stavo vivendo nel peccato. Tutto ciò che gli altri mi dicevano mi risuonava nella testa solo come una mera scusa per giustificare un'esistenza immonda.
La cintura scattò nuovamente nell'aria e mi colpì sulle ferite già aperte e sanguinanti, spezzandomi il fiato. Mi accasciai contro la struttura del letto facendo leva sul braccio sinistro libero. Strinsi il tessuto coi denti ma un rantolo doloroso non riuscii a mascherarlo. Nascosi il viso contro le coperte del letto e mi abbandonai ad un pianto disperato ma silenzioso. Lasciai scivolare lentamente la cintura dalla presa della mano sul pavimento. Il dolore del corpo mi aiutava in qualche maniera a spegnere i pensieri aggrovigliati che mi stavano distruggendo. Era questa l'unica cosa che mi interessava.
"Signore, perdonami..." riuscii a dire.
Non avevo neanche la forza per rimettermi in piedi o di arrampicarmi sul letto per cercare sollievo. Il mio corpo spezzato si abbandonò semplicemente contro il materasso e la struttura lignea del letto. Mi tremarono le ginocchia sotto il peso del mio stesso corpo e a causa della posizione sulla nuda pietra. Oramai avevo esaurito totalmente le mie energie e l'unica cosa che potevo fare era stringermi alle coperte sperando di non cadere.
STAI LEGGENDO
FOEDUS
FantasyNapoli, 1821. Nel ventre della città, sotto la superficie, si nasconde un'Accademia che forma streghe e guerrieri da sempre impegnati nella faida contro i seguaci del culto micaelico. Azaria, una giovane di salute cagionevole, cresciuta in una famig...