3. Hendrik Tamm.

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Mi svegliai di colpo, spaventata e disorientata, senza ricordare un briciolo del sogno che poteva essere la causa di quel disagio. Guardai la sveglia, sul comodino alla mia destra. Erano le 10:24, il che significava che a breve mia madre sarebbe venuta a chiamarmi, per andare dai Tamm. L'idea di ritrovarmi in questo complesso casino, che era la mia vita, mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Vidi ai piedi del mio letto un abitino tutto balze, color panna, con dei ricami e fiocchetti verdi. Sì... Proprio lo stile di una ragazza che indossa solo jeans e felpe. Avrei preferito urlare, ma decisi di non farlo. Dovevo essere ubbidiente, così da spuntarla con mia madre a fine giornata.
Indossai quell'orribile vestito striminzito e mi guardai davanti allo specchio. Sembravo una specie di meringa fatta di zucchero. Decisi di indossare delle scarpe basse verdi e, di tenere i capelli sciolti, con i ricci che ricadevano sulle spalle. Quando mia madre entrò in stanza con un sorriso stampato sul viso, non sapevo se esserne contenta o innervosirmi ancora di più. Disse che era ora di andare, senza fare nessun accenno alla discussione del giorno prima. Era sempre così. Allora mi ritrovai accanto a mio zio, sul sedile posteriore dell'auto di mio padre, ad ascoltare i loro stupidi discorsi. Mio zio ha 22 anni, ed è il fratello di mio padre, appunto. L'unico che riesce a capirmi, a difendermi, quando è presente. Potrebbe sembrare più mio cugino, dato la differenza di età. Mi guardava di sottecchi, ridendo, trovando divertente quell'assurdo vestito e il fatto che me lo sia dovuta mettere senza fiatare. Sapevo che non era un sorriso fatto per cattiveria, così mi limitai a dargli un pugnetto sulla spalla.
Guardare la strada che percorrevamo cercando di ignorare i discorsi che dovevo sorbirmi da almeno mezz'ora non fu semplice. Prima o poi, però, gli incubi finiscono. Una volta arrivati all'imponente villa, varcammo un grande cancello elettronico. Mio zio, Dylan, mi spiegò che la famiglia dei Tamm era molto tradizionalista, per questo motivo erano così ossessionati all'onore e alle regole, al contrario di gran parte delle altre famiglie -normali- che conoscevamo. E poi era ricca, si era capito.
Un maggiordomo altissimo, dagli occhi ghiaccio e in guanti bianchi ci invitò ad entrare, sfoggiando il suo delizioso accento tedesco. In quell'ambiente così raffinato sembrava quasi di tornare ad altri tempi, quelli che potevo conoscere solo attraverso dei film. Il maestoso ingresso si presentava con un estesissimo pavimento in opus settile e una grande scalinata in legno antico . Lungo le mura color ruggine, vi erano dei vasi appesi con dei fiori freschissimi. In alto, al centro dell'ingresso, poco prima della scalinata, un enorme lampadario di cristallo, formato da tantissime gocce, che regalavano giochi di luce arcobaleno un po' ovunque. Avrei potuto osservarle per ore cercando di contarle. Il grazioso maggiordomo, sembrava quasi avermi letto nel pensiero, quando si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio che quel lampadario, si diceva, fosse composto da più di 1500 pezzi. Doveva essere proprio bello vivere lì.
Al centro della stanza, improvvisamente, sembrò quasi materializzarsi la presenza di quattro persone: una donna, dai capelli rossi, altissima e magrissima, stupenda. Il suo sorriso sembrava illuminare la stanza più del lampadario di cristallo stesso e, fidatevi, era difficile. Un uomo, alto anche lui, dai capelli castani, gli occhi chiari e dall'aria affascinante. L'eleganza era qualcosa a cui non si stavano adattando, era qualcosa di naturale. Un ragazzo, non troppo basso rispetto a quello che doveva essere il padre, era intento a osservare i propri piedi in preda all'imbarazzo. Doveva essere Hendrik. Finsi che non mi importasse più di tanto e spostai l'attenzione a qualcun altro.
Accanto a lui vi era un uomo anziano, forse l'uomo che ricordavo da bambina, con un bastone lavorato...a mano?
Ehi. Quel bastone...
-"Benvenuti! Lei deve essere Roheline, è un piacere per noi conoscerti."- disse la signora dai capelli rossi.
-"Piacere nostro, vero Liine?"- sbottò mia madre.
-" Certo! "- Abbozzai un sorriso falsissimo, sperando non se ne accorgessero e riponendo la mia attenzione attorno a me. Cominciavo ad apprezzare quel posto, nonostante tutto. Forse, magari, potevo dargli una chance, solo per un giorno.
Il ragazzo alzò lo sguardo, incontrando il mio per un attimo. Due zaffiri inespressivi, ma familiari. Eppure, Hendrik lo ricordavo così diverso...Si voltò e un secondo dopo era via, tra una chiacchiera e l'altra degli adulti. Avessi potuto farlo io, beh, l'avrei fatto.
Ben presto ci ritrovammo tutti seduti a tavola, una tavola che però era apparecchiata per... 9,10...11 persone? Ah, già , gli Alexe...Non so cosa. Li aspettammo per parecchio tempo e quando si degnarono ad arrivare, li scrutai a lungo. Una donna ed un uomo sulla sessantina, vestiti eleganti, camminavano a stento. Poi vi era un altro ragazzo, sicuramente più grande di me, che notò subito il mio sguardo e restò lì, immobile, a fissarmi. Anche lui in cardigan e camicia da chissà quanti centinaia di euro, ovviamente. Mi sentivo così fuori luogo, mentre continuava a scavarmi con gli occhi. Sembrava quasi come se stesse testando fino a che punto potesse arrivare la mia pazienza, prima di alzare il mio "curatissimo" dito medio smaltato di verde per l'occasione. Non l'avrei fatto, non avrei potuto. Ma a dire il vero io non ero affatto di quel mondo, perciò perché avrei dovuto evitarlo? Prima che i miei impulsi ignorassero la ragione e il buon senso, oltre che l'educazione che mi ero auto costruita per quasi diciotto anni, riuscii a limitarmi ad osservarlo ancora più intensamente alzando le sopracciglia. Era un bel ragazzo, castano, ma diverso da Hendrik. Aveva gli occhi dorati, maliziosi, mi stava seduto di fronte. Osservava ogni mia singola mossa, come se volesse scrutare ogni mio movimento per riuscire a capirmi. Era attraente, ma fin troppo sicuro di sè. Hendrik, invece, stava accanto ai suoi. Non sembrava curarsi della presenza di nessuno, nemmeno della mia. Dopotutto, era passato molto tempo, non potevo non capire quella sua timidezza, sopratutto se ero anche io a provarla.
Arrivò la prima portata: pesce. Lo odiavo, ovviamente. Per educazione avrei dovuto mangiarlo. Guardai ai lati del piatto e notai una varietà di posate che non pensavo potessero stare tutte lì, pronte, per una sola persona. Osservai il ragazzo dagli occhi dorati e quando prese la forchetta più esterna, decisi di imitarlo.
Finito il nostro sontuoso pranzo-cena-colazione dell'indomani, ci fu finalmente l'occasione perfetta per alzarmi. Avevo perso il conto delle portate al sesto assaggio di qualcosa. Fino a quel giorno, pensavo che potessero esserci un unico "Primo" ed un unico "Secondo". Mi sbagliavo. E tutt quel pesce... Non sapevo se sarei riuscita a digerirlo, tra i discorsi inutili degli adulti e la mia intolleranza per ogni cibo che prevedesse una creatura marina.
Ero seduta sul divanetto quando Mr. Occhi Dorati si alzò. L'osservai pensando: "No.. No... No. No... No... Dai.. Ti prego... Non qui...".
- "Ehy..." - E va beh, era ovvio.
Alzai la mano in segno di saluto, e abbozzai un falso sorriso.
- "Sai, sei..."-
- "Taci."-
- "Cosa?"- Fanno tutti quello sguardo perplesso, no? Come se davvero non si capisse. Non voglio parlarti, arrivaci.
- "Scusa, non ho voglia di parlare " - Sbottai, mentre forzatamente si accomodava accanto a me.
- "Scusami, mrs adirata." - Adirata. L'ha davvero detto.
- " Non è molto educato da parte tua ignorarmi, Roheline" -
Non ci eravamo ancora presentati, ma magari aveva avuto più interesse di me riguardo chi fosse presente. Mi alzai dal divanetto e andai verso il giardino privato della villa, quando mi seguì.
- "Roheline, ma che succede? Non potrai fare così per sempre..."-
- "Sono impegnata. Smettila adesso." -
Rise sonoramente, sfoderando un sorriso squadrato e bianco.
Giurai a me stessa di alzargli le mani.
- "A fare cosa, Roheline?"-
-"A guardare il cielo."- Dissi acidamente, sperando che andarsene potesse rientrare nelle sue prossime mosse.
-"Ma è possibile che non mi riconosci?"- Chiese un po' deluso, ma cauto, sfiorandomi il braccio.
Lo guardai con noncuranza, un po' come guardavo tutti quel giorno, nascondendo quel pizzico di curiosità che stavo iniziando a provare. Mi voltai, osservandolo intensamente per la seconda volta.
Fu allora che capii: avevo commesso un errore.
- "Sono Hendrik, idiota. Non ci vediamo dal tuo terzo compleanno."-

*Autore*
Salve! Spero proprio che aumenterete voi lettori, perché mi sto impegnando molto a scrivere questa storia.
Se avete consigli o appunti, non esistate a commentare!

Xoxo
#Roowolf

Non sono l'eccezione dei libri. {In Correzione}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora