Non ha importanza l'inizio, ma la fine.
Siamo ostinati nel convincerci l'un l'altro del contrario.
Se un nostro caro muore, ci rincuoriamo nell'eterea falsa certezza che la sua sia stata una vita felice. Senza renderci conto che il nostro cervello, inconsciamente e contro ogni nostro desiderio, non fa che mostrarci l'immagine sfuocata di un unico ricordo: un corpo statico e freddo, occhi vitrei, mani congelate, volto inespressivo.
Paradossalmente anche l'amore si può paragonare alla vita.
L'infinità non esiste per nulla, tutt'al più si può sperare che la fine di tale sentimento coincida con lo sgretolarsi del corpo.
Anche le storie d'amore terminano con un brutto ricordo, destinato a risiedere nel subconscio e a ripresentarsi come una fitta, una coltellata che non ti uccide ma ti tortura.
Rimembro ancora la fine di quel rapporto, la lettera scarabocchiata a malincuore e giunta a me bagnata di lacrime.
Un amore dovrebbe finire quando non si prova più nulla l'uno per l'altra, e non quando se ne è ancora completamente invaghiti.
Nel primo caso è una liberazione, nel secondo uno strazio infinito.
È vero quel che si dice: "Il tempo allevia ogni pena." Ma è pur vero che i mali restano.
Quando ripenso a qui respiri, pelle contro pelle, labbra contro labbra. A quegli abbracci, le carezze morbide sul viso, le sue mani forti, i suoi occhi di ghiaccio, il tum tum irregolare del suo cuore che infondeva sangue di mago puro alle vene.
La paura di ricordare è una conseguenza del non farlo, perciò ho smesso di negarmi il piacere di ritornare indietro.
Mi preme una domanda: vorrei che non fosse mai iniziata o che non fosse mai finita?
Non riesco a ripensare ad un'adolescenza che non includa quelle sue frasi tenere. Ma del resto "occhio non vede cuore non duole".
Se solo fossimo stati più attenti.
Una svista. È bastata una stupida svista per rovinare tutto, per frantumare un sentimento in piccole schegge.
Ma ora è troppo tardi per mettere insieme i pezzi.
È sempre stato troppo tardi.
Se solo non avessimo saltato la lezione.
Accoccolati nello stanzino delle scope.
Ricordo le volute di polvere che atrofizzavano l'aria. Il suo soffio caldo e profumato di menta che smuoveva il pulviscolo. Il minuscolo e insignificante raggio di luce che si faceva largo strisciando dalla piccola fessura tra le ante.
Le ante, quelle maledette ci tradirono sbattendo ad un soffio di corrente.
Sussultammo.
Rimembro il viso del professor Longbottom, severo e truce come non l'avevamo mai visto, quando ci scovò. L'ora di Erbologia era finita e, come prevedibile, la nostra assenza era stata notata.
Il rimprovero, la presidenza, l'orrore negli occhi della preside furono nulla in confronto a quanto accadde dopo.
Prima ero l'orgoglio di mio zio, quasi un'altra figlia per lui, ma da quel momento non mi rivolgeva la parola. Se possibile non mi rivolgeva più neanche uno sguardo. Anche a mio padre la cosa sembrava non andare a genio e per un bel po' divenni quasi un'indesiderata.
Era arrivata una lettera dalla scuola. La ragazzina che si era dimostrata essere un vero prodigio aveva severamente infranto le regole, aveva deluso tutti.
Lessi quella lettera infame, quella che mi puniva per un unico insignificante sciocco errore.
Ma che dico: quello non fu affatto un errore. E se anche lo si potesse definire così, sicuramente sarebbe uno di quegli sbagli che rifaresti volentieri se ne avessi l'occasione. Uno di quelli nei quali il pentimento si sbriciola dopo pochi istanti facendo posto all'orgoglio pretenzioso e al desiderio costante.
Non posso immaginare quanto sia costato a lui tutto questo. Quanto a lungo suo padre gli abbia gridato contro, o peggio lo abbia picchiato.
Forse sono solo io a temere che la questione possa essergli costata una ferrea punizione.
Magari suo padre si è semplicemente divertito nel pensare a come suo figlio abbia ingannato, magari persino trascinato nel desiderio e poi illuso, una luridissima Potter.
Per il resto del mio quinto anno non mi sussurrò più parole dolci, ma mi evitò.
Ero per lui ancora più insignificante e inutile di una minuscolo parassita, un tempo attaccatosi al suo cuore per nutrirsi della sua sete d'amore.
Una volta scorsi un brutto livido sul suo volto bianco latte. Avrei scommesso che fosse stato Draco a procurarglielo per l'immenso disonore che era stato offerto lui. Quando cercai di indagare su ciò, però, lui mi rispose in modo brusco.
"Va a ficcare il naso altrove, Potter." mi disse con tono infido, ma tremante. Sembrava una voce extra corporea. Non poteva, non doveva appartenergli. Lo avevo sempre visto come un ragazzo dolce.
Tassorosso. La scelta del cappello, data la nobile casata alla quale apparteneva, si poteva giudicare tutt'altro che corretta. Nessun pregiudizio si dimostrò mai più falso di questo.
Era un amico fedele e leale. Il miglior compagno che James, Albus e Rose ebbero mai è il miglior fidanzato che io potessi desiderare.
Tutta Hogwarts si rese ben presto conto che il figlio del mangiamorte non era altri che un bravo ragazzo.
Probabilmente Draco Malfoy non poteva dirsi più in disaccordo e, umiliato da una serie a suo parere fin troppo vasta di delusioni, iscrisse quel giovane, mio unico amore, mia unica gioia, nella scuola di magia di Durmstrang per il suo ultimo anno.
Vorrei poter dire che io e quel fantastico ragazzo dagli occhi di ghiaccio continuammo a sentirci, a spedirci lettere via gufo, ma non è questa la verità. Non è questa la reale storia di Scorpius Hyperion Malfoy.
È già : fu proprio lui a prendere in prestito il mio cuore dimenticandosi di restituirmelo.
L'unico segno di vita che ricevetti da lui fu una lettera.
Un'unica lettera per spiegare quello che un intero poema non avrebbe potuto.
Sette parole. Nè una in più nè una in meno.
Arrivò col suo gufo, il quale picchiettò allegro alla finestra.
Era il trentuno di Agosto del 2023. Poche parole in prospetto di un anno che avrei trascorso senza di lui, anche se questo ancora non lo sapevo, seppur lo immaginavo.
La busta era gonfia, molto gonfia.
La lettera diceva, e qui cito testualmente quella triste frase: "È stato bello finché è durato, amore."
La parola amore era quasi cancellata da una macchia, che poi intuii essere una lacrima. Che allora soffrisse anche lui per quanto accaduto?
Strano a dirsi, ma lo spero vivamente perché sarebbe un gesto che dimostri che non tutto quel che sentivamo si dissolse con il rompersi della relazione.
Non c'era solo quella nella busta.
Mi tremavano le mani quando estrassi un grande foglio ripiegato di pergamena ingiallita.
Sapevo cosa fosse. James l'aveva donata a Scorpius per il suo quindicesimo compleanno, e lui la stava dando a...me.
Quando la impugnai vi comparvero delle parole. Dubitavo si potessero aggiungere incantesimi a quelli con cui era stata fatta, ma a quanto pare sì.
"Il mio cuore è sepolto nel castello, forse puoi darmi una mano a trovarlo."
La scritta prese forma e chiarezza prima di scomparire.
Sapevo cosa stava cercando di dirmi: lui sarebbe rimasto ad Hogwarts sempre e per sempre al mio fianco. Ed ora, tra l'altro, ero il nuovo proprietario della Mappa del Malandrino che, secondo quanto James si ostinava a ribadire, non era mai stata, non poteva e non doveva trovarsi nelle mani di una schifosa ragazza. Meno male che col tempo il suo senso acuto di maschilismo si è appianato.Mi tiro su dal letto con gli occhi gonfi di lacrime. Era tanto che non cercavo più di ripensare ai vecchi tempi, quando facevo la so-tutto-io competendo seriamente con mia cugina Rose, quando Albus mi arruffava i capelli e mi nascondeva i libri, quando James mi svegliava la notte per giocare a cuscinate infrangendo le regole, dato che ero di Corvonero e lui non avrebbe nemmeno dovuto sapere da dove si accedeva al mio dormitorio e quale era la parola d'ordine.
Ma soprattutto era tanto che non ripensavo al mio principe dagli occhi azzurri.
Mi giro di fianco, dove da sotto le coperte spunta solo un ciuffetto di capelli castani del mio secondo principe, che resta disteso, beato e tranquillo sotto le coperte.
Qualcuno bussa improvvisamente alla porta, che viene aperta pochi istanti dopo.
"Mamma, ho fatto un brutto sogno." mugola il mio piccolo 'funghetto'.
"Vieni, tesoro." gli sussurro asciugandomi gli occhi.
Lui si avvicina con un ditino che sale su per il naso. Gli prendo il braccio esile e glielo tiro con delicatezza così da fargli togliere la manina dalla narice.
"Mamma, ma stai piangendo? Hai fatto anche tu un brutto sogno?"
"No, Scorpius." Gli faccio un sorriso accarezzandogli i capelli castani. "Il mio era un sogno bellissimo."

STAI LEGGENDO
W.G.//Il tempo allevia ogni pena
RomanceLily non è in grado di dimenticare, neppure a distanza di anni, quel per sempre che si è smaterializzato nel campo delle pene eterne. Un per sempre che non ha più motivo di esistere, ma che ancora incessantemente continua a fare tum tum. One-shot...