Ti vedevo in folle e non c'era gente.
Solo troppe frizioni per ingranare una marcia nuziale,
spremute di arancia meccanica nei serbatoi dei rancori,
un prodotto interno così lordo da intorbidire ogni sterile carezza.Così mi rifugiavo nelle tue fossette di Venere,
una trincea in cui morire ogni volta sotto gli attacchi al miocardio.
Perché del tuo non c'era già traccia.«Ti lascerò quando sentirò il tuono di quel semaforo che lampeggia»,
dicevi maliziosa sotto una pioggia così prepotente da far friggere l'asfalto.Il semaforo sbatte ancora le palpebre e stringo la tua mano, in un guanto vuoto.
Questo è il requiem del nostro rapporto:
la voce stonata nel tuo assolo che io desideravo gemmasse in un interminabile duetto.
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Pensieri disallineati di una mente stanca e diversamente creativa
PoetryUna storia d'amore come tante. Ma raccontata meglio, forse. Il racconto in versi di un amore distratto, disperso nelle soffitte di un futuro trapassato.