1.47 ● QUANDO MI DOMANDAI SE FOSSE FELICITÀ

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In cucina, David disse alla mamma che ero stata sospesa. Lei si avvicinò, i capelli mezzo spettinati e gli occhi spalancati. «Se ti hanno presa in giro è perché hai fatto qualcosa che non andava bene!»

«Mamma, io non ho fatto niente! Ho solo...» Mi interruppi. David, dietro di lei, si mise un dito sulla bocca e scosse la testa.

Lei afferrò la maglietta che avevo indossato per cena. «Hai solo... cosa?» La sua voce rimbombò per la stanza. «Questa roba che ti metti, le ragazze che frequenti, per questo ti hanno presa di mira. Magari ti sei anche fatta toccare!» Mi spinse indietro e mi voltò le spalle, mettendosi le mani in testa.

Pestai un piede per terra, dovevo scaricare quella rabbia che mi induriva tutti i muscoli. «Ma è solo un cazzo di disegno!»

Lei non si girò. «Anche le parolacce. Se solo la mamma non fosse morta. Lei sì che sapeva come gestirti. Vorrei sapere da chi hai preso questo carattere. Io non ce la faccio con te.»

David si avvicinò a lei e la tirò verso di sé. «Sharon, se non ce la fai» la sua voce era calma e sicura, «Lascia che ci pensiamo noi. Abbiamo avuto un figlio e sappiamo cosa fare. Ti diamo una mano.»

Lei stava per rispondere ma non volevo sentire.

Corsi a rifugiarmi in camera. Mi aveva accusata senza ragione di una cosa che non conosceva. Non sapeva quello che avevo passato in quei giorni, come avevo tentato di andare avanti dicendomi che sarebbe passato tutto.

Era colpa mia, secondo lei. La porta sbatté dietro di me.

Mi gettai sul letto. «Certo, colpa mia se sto in una scuola nel cuore della Florida senza che nessuno mi conosce, senza amici e una vita intera da rifare.» Singhiozzai al cuscino. «Colpa mia se mi dicono che sono grassa e mi lasciano cartacce e pattume nell'armadietto.»

Mi rannicchiai, misi le cuffie e ascoltai EL ad alto volume finché i miei pensieri si cancellarono e mi addormentai.

Il mattino qualcosa mi scosse la spalla. Aprii un occhio, era secchione.

«Sei andata di nuovo a letto vestita? Alzati, presto, che se no arriviamo tardi.»

Sbadigliai e mi sfregai il naso. «Tardi per cosa?» Mi sedetti sul letto fissando la coperta ancora a posto. Mentre percorrevo i disegni bianchi e rosa sul copriletto, mi ritornarono di nuovo in mente le parole della mamma. Osservai il disegno sulla maglietta.

Una ragazza con gli occhiali da sole e il cappello di paglia è davvero così cattiva?

«...per il tuo compleanno.» La mano di secchione mi afferrò il braccio.

«Cosa?» Feci resistenza.

Sbuffò e si passò la mano tra i capelli. «Mia madre ha prenotato il parrucchiere» parlò lento, «per farti la tinta. Dice che così sarai più carina per il tuo compleanno.»

Afferrai le punte dei miei capelli, ormai quasi di nuovo bionde. «Tanto non verrà nessuno.» borbottai.

Si mise a sedere accanto a me. «Allora vorrà dire che sarai carina per Nate e i miei amici.»

Tre persone mezze sconosciute e più grandi di me. Sai che divertimento.

Ero sicura che con Nate mi sarei divertita, conoscendolo, ma gli altri due non li avevo mai visti.

Controllai il telefono, non c'erano messaggi di Janine, Juliet o Sean.

Guardai fuori dalla finestra «C'è il sole.»

«Dicono che il tempo sarà bello anche per il tuo compleanno, fangirl. Non sei contenta?»

E io passerò la giornata sulla sedia a sdraio a guardare l'acqua della piscina e ad ascoltare gli uccellini dell'aranceto.

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