Capitolo 7: Villain

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Ogni volta che Izuku tornava a casa con delle ferite, mentiva su come se le era procurate. "Ho sbattuto", "sono inciampato", "una bici mi è venuta addosso". Apparentemente era il ragazzo più sfortunato dell'universo per subire quella serie di sventurati incidenti.

Inko non credeva ad una sola parola. Sin da piccolo Izuku tornava a casa pestato, perché si metteva in mezzo quando vedeva delle ingiustizie. Veniva preso di mira perché era debole. Voleva proteggere chi era in difficoltà, ma finiva per essere massacrato al loro posto.

Inko non sapeva come farlo parlare. Izuku era un testone: più insisteva per farsi dire la verità sulle ferite, più lui negava e inventava prove sempre più convincenti. L'unica eccezione fu una sera di aprile di quando Izuku andava in seconda media. Inko si era svegliata di soprassalto per un rumore proveniente dal bagno. La loro casa era un semplice piccolo appartamento, con pareti abbastanza sottili, quindi era difficile non sentire i rumori dalle altre stanze. Si alzò preoccupata. Era notte fonda e credeva che Izuku dormisse già da un bel po'. Si avvicinò alla porta del bagno, cercando di fare meno rumore possibile. Izuku stava piangendo, piano, trattenendosi, ma stava piangendo. Inko non capiva: eppure quel pomeriggio era rientrato piuttosto allegro, non gli aveva visto nuove ferite. Stava esitando. Sapeva che Izuku odiava farla preoccupare e quando tornava ferito era un peso più per lui che per lei. L'esitazione svanì nel momento in cui il pianto di Izuku aumentò. Sentiva i singhiozzi. Lei era sua madre, non poteva far finta di nulla, voleva sapere cosa stava succedendo, voleva consolarlo e aiutarlo.

Col cuore in gola, aprì la porta: lo trovò in ginocchio a petto nudo, con soli i pantaloncini del pigiama. Aveva il torso ricoperto di ustioni: si riuscivano chiaramente a distinguere palmi e dita sul petto e sulla schiena.

"Mamma, no.. io.." parlò Izuku tra le lacrime. Aveva aperto il mobiletto sotto il lavello per cercare la garza per medicare le ferite, ma l'aveva finita.

Inko era inorridita, scoppiò a piangere e si gettò in ginocchio accanto a lui. Gli prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo. Stavano entrambi piangendo.

"Chi ti ha fatto questo?" disse Inko con la voce rotta dal pianto, "Dimmelo, chi è stato?!"

Izuku fece un enorme sforzo per prendere fiato. "È stato Kacchan!" urlò e scoppiò in un pianto disperato. Ammettere che era stato il suo amico di infanzia a ridurlo così equivaleva ad essere trafitto da mille lame. "Fa male, mamma, mi fa male ovunque!" continuò ad urlare e si aggrappò alla maglia di sua mamma e pianse con la testa china sulla sua spalla. Inko lo lasciò sfogare, non lo aveva mai visto così. Gli mise le mani sulla testa e lo trattenne a sé. Aveva paura di toccare il resto del corpo date le gravi condizioni delle ustioni.

"Erano tutti in cerchio e lui ha continuato a spingermi insieme agli altri, ma più lui continuava a spingermi e più le sue mani erano bollenti!" disse arrabbiato ancora singhiozzando. "Ho pregato di fermarsi, ma non mi ha ascoltato e nessuno è intervenuto!" e continuò a piangere. "Nemmeno il professore ha detto nulla! Non valgo nemmeno come una persona!".

"Non lo dire nemmeno per scherzo!" gli urlò contro Inko singhiozzando. "Parlerò io con la scuola e anche con Mitsuki. Non ti preoccupare, ci pensa la mamma. Ora vado a chiedere al vicino se ha un po' di garza".

Izuku era l'unica famiglia che era rimasta ad Inko. Lo aveva cresciuto facendo enormi sacrifici, chiedendo sempre doppi turni a lavoro. Provava un senso di dolore immenso nel vedere il suo unico figlio ricoperto di ferite, nel sapere che non si sentiva nemmeno come una persona per il solo fatto che non aveva un quirk. Con il liceo la situazione era peggiorata, ma stavolta si faceva male per colpa del suo quirk, che si era risvegliato al pari di una sottospecie di maledizione. Era arrivata al limite, ogni volta che vedeva anche solo un nuovo graffio, andava immediatamente a parlare con Mitsuki, il più delle volte per sfogarsi e avere consigli. Mitsuki era stata molto comprensiva con Inko, aveva indirizzato Katsuki a lasciare i suoi modi di fare da bullo, e adesso poteva anche ammettere che i due erano diventati amici. Mitsuki non si aspettava, tuttavia, che Inko venisse a parlare di Katsuki: non succedeva da molto tempo ormai, forse anni.

Katsuki scese lentamente le scale, sorpreso della terribile capacità di mentire di Izuku. La scusa di aver sbattuto non reggeva, in fronte aveva chiaramente un'ustione.

Katsuki guardò dritto negli occhi Inko, che ricambiò con uno sguardo preoccupato e in ansia per ciò che Katsuki stava per dire. Inko teneva il fiato sospeso, tra le labbra una domanda che non c'era bisogno di pronunciare. Lo sguardo deciso di Katsuki si addolcì, arcò le sopracciglia pentito e abbassò la testa. Inko aveva capito la risposta e scoppiò a piangere, si nascose il volto tra le mani.

Mitsuki stava in silenzio ad osservare la scena, non sapeva cosa dire. Era accigliata e lanciò un'occhiataccia a suo figlio che si era girato per guardarla. Katsuki tornò a guardare Inko. Si avvicinò e chinò la schiena e il capo in segno di scusa.

"Sono stato io a ferire Izuku. Ci stavamo allenando e mi sono lasciato prendere la mano. Mi dispiace, ti chiedo perdono zia Inko".

"Perché, Katsuki, perché? Pensavo avessi smesso di tormentarlo?"

"Mi dispiace, davvero. Non si ripeterà più."

"Izuku ti vuole bene, ti segue ovunque, ti ammira! Non ti ricordi cosa è successo quando eravate piccoli?"

Quelle parole colpirono Katsuki come una coltellata nello stomaco. Si sentì mancare l'aria. Era sempre stato consapevole dell'attaccamento di Izuku nei suoi confronti, ma sentirselo dire faceva male, nonostante la situazione tra loro due era migliorata. Capì, inoltre, che era ad un passo dallo scoprire da quale evento emergevano i ricordi che lo tormentavano ogni notte. Il cuore accelerò il suo battito, si sentì fischiare le orecchie. Doveva rispondere, doveva sapere.

"No, non ricordo."

"Va bene così Inko, Katsuki ha chiesto scusa" irruppe Mitsuki.

Inko si tappò la bocca con una mano e guardò sorpresa l'altra mamma, che le aveva lanciato una mezza occhiata.

Cosa stava succedendo? Perché quella reazione?

Katsuki iniziò ad ansimare, gli girava la testa.

Inko e Mitsuki si alzarono insieme preoccupate da come Katsuki si stava comportando. Si era portato le mani al petto ed era ancora piegato.

"Katsuki, ti perdono. Izuku ti ha sempre perdonato. Ora guardami" Inko prese il volto di Katsuki tra le mani e lo guardò negli occhi.

"Sei un ragazzo intelligente e hai fatto tantissimi progressi. Sei come un sole per mio figlio, ma più prova ad avvicinarsi a te e più le sue ali si sciolgono. Ho paura che prima o poi possa cadere in mare. Promettimi che lo aiuterai, va bene?"

Katsuki stava ancora processando le parole quando si sentì abbracciare. Inko sapeva che Katsuki non era cattivo, aveva solo un pessimo carattere. Mitsuki si unì all'abbraccio, non c'era spazio per quello che voleva dirgli. Per stasera andava bene così.

Katsuki era immobile, chiuse gli occhi, trattenne le lacrime. Era confuso, sapeva solo che non voleva deludere Izuku, non voleva più fargli del male.

Inko e Mitsuki si staccarono. Inko fece un inchino ringraziando Mitsuki per l'ospitalità, salutò con la mano e se ne andò.

"Mamma, mi dispiace."

"Lo so, vai a dormire. Ne parliamo meglio quando ti sarai calmato."

In effetti si sentiva esausto. Salì le scale e si tuffò nel suo letto. Non aveva la forza nemmeno di fare i soliti esercizi di fisica. Guardò il tetto di camera sua: c'erano ancora gli sticker fluorescenti a forma di stelle e pianeti. Ripensò alle parole di Inko: Izuku era veramente come Icaro, stava perseguendo un sogno impossibile. Lo aveva visto ridursi male più e più volte a causa del suo quirk. Ma Katsuki non si sentiva come il sole, non si sentiva brillare, non si vedeva come una guida. All Might era il sole, non lui.

Izuku doveva inseguire All Might, non lui. Le lacrime scesero da sole sul suo volto. Si rigirò nel letto, non riusciva a prendere sonno e non riusciva a togliersi dalla testa l'espressione addolorata di Inko. Aveva sempre quell'espressione quando Izuku tornava a casa ferito per colpa sua? Si arrese e iniziò a piangere. Doveva essere un eroe, andava in un liceo per diventare eroe, ma riusciva a vedersi solo come un villain.

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