Quando calava la notte e Josh era solo un bambino, sperava di trovare conforto tra le sue adorate coperte calde, che tuttavia lo avvelgevano in maniera sempre meno rassicurante.
A quell'età, mentre cercava di addormentarsi ascoltando della musica rock attraverso le cuffie, era comunque in grado di sentire i genitori discutere; urlavano le parole peggiori che lui avesse mai ascoltato, rompendo qualche piatto, a volte.
Josh stringeva le coperte, piangeva in silenzio e guardava il letto di sua sorella che, mentre fingeva di dormire, ogni tanto sbuffava.
"Tu lo sai perché mamma e papà litigano?" gli aveva chiesto una notte e, improvvisamente, Josh aveva spalancato gli occhi e una lacrima era scesa lungo la sua guancia.
"È solo colpa tua" aveva aggiunto Lea, voltandosi a guardarlo di traverso.
I suoi occhi erano freddi e distaccati; un azzurro mare aveva fissato Josh con aria inquisitoria e lui si sentiva sprofondare ogni qual volta capitasse.
"Se non fossi mai nato tutto questo non sarebbe successo" aveva continuato Lea e, come se non gli avesse appena trafitto il petto con una lama, si era rimessa a dormire, girandosi di spalle.
Josh aveva pianto ancora qualche attimo ma, distrutto, si era asciugato le lacrime e aveva tentaro di addormentarsi.
I suoi genitori litigavano ininterrottamente e, tra un urlo colmo di rabbia e il rumore di una sedia che veniva presa a calci, Josh riusciva a sprofondare in un sonno profondo ma tormentato.In seguito a quegli episodi, ciò che vedeva (ormai da anni) erano gli stessi occhi verdi e minatori di un essere sconosciuto che lo fissava nell'ombra, che lo chiamava e gli diceva di fare delle cose orribili alle persone a cui teneva.
Una volta, non molto tempo prima dell'avvenimento descritto, sua madre l'aveva beccato con un coltello a fissare il letto vuoto di Lea, perso in un mondo nel quale lei non riusciva proprio a entrare.
Josh fu portato da ogni dottore della città ma nessuno gli fece una vera e propria diagnosi; dissero che aveva dei problemi, che doveva prendere delle medicine, e così fu, per molti anni, nonostante Josh continuasse a vedere quelle terribili immagini nei suoi sogni e a sentire quelle voci.
Il giorno in cui tutto cambiò, quando Josh arrivò all'età di diciassette anni, fu lo stesso giorno del funerale di suo padre, morto a causa di un infarto durante una terribile litigata con Lea.
Josh l'aveva visto per terra ed era sbiancato, correndo subito a chiamare i soccorsi, i quali erano arrivati troppo tardi.
Camille, la madre di Josh, non avrebbe voluto nemmeno organizzare una veglia funebre, perché aspettava da tempo che Henry morisse, pur di non doversi sentire ancora sottomessa al suo volere, ma Lea e Josh la pensavano diversamente.
Per loro, vedere il padre steso a terra e inerme fu l'inizio della fine, il momento in cui qualcosa si ruppe, come un vaso che si frantuma sul pavimento, irreparabile, se non con qualche pezzo di scotch per tentare di mantenere insieme i pezzi.
Alla veglia (organizzata dalla signora Monson, la nonna paterna di Josh e Lea) c'erano pochissime persone, tra cui l'unica vera amica di Josh:
Kimberly, che lo raggiunse sul tetto della casa.
Ci si poteva accedere facilmente, usando delle scalette poste all'esterno.
"So che dovremmo fare i bravi e che tuo padre è appena morto, ma ti assicuro che bere aiuta" disse lei porgendo a Josh, mentre era seduto sul tetto, un bicchiere di vodka.
Lui la guardò nauseato.
"Non ho sete" rispose secco.
Kimberly reagì con un sospiro.
"Cerco solo di allentare la tensione."
"Mio padre è morto" disse Josh guardando in basso; la piscina in giardino era piena di foglie secche e senza un goccio d'acqua.
"Tuo padre era un pezzo di merda" affermò Kimberly.
Non aveva tatto, la maggior parte delle volte, e Josh l'ammirava per la sua estrema sincerità; in quell'occasione, però, si alzò senza dire niente e, infuriato, mosse un passo in avanti.
"Josh, non fare stronzate" lo intimò Kimberly.
"Stronzate? Tu non capisci..." rispose Josh con la voce rotta e spenta.
"Josh, ti prego...non sai per quanto tempo-"
Kimberly ammutolì quando Josh si gettò dal tetto e cadde a capofitto verso la piscina, dove battè la testa.
Il rumore dell'impatto raggiunse le orecchie di Kimberly che guardò in basso inorridita e in preda allo shock, incapace di muovere anche solo un muscolo.
Mentre Josh era steso a terra, inerme proprio come suo padre il giorno prima, Kimberly lo fissava, aspettando che succedesse qualcosa, una qualsiasi che le potesse far recuperare il respiro.
Un minuto dopo, prima del solito, Josh riaprì gli occhi; gli faceva male la testa ma non era morto, per l'ennesima volta, lui era ancora lì, nel mondo dei vivi, e non ne capiva proprio il motivo.
"Fanculo" imprecò stizzito, alzando un pollice verso l'alto.
Era il suo modo di comunicare a Kimberly che fosse vivo e che, nemmeno quella volta, fosse riuscito ad andarsene per sempre.
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Beyond Worlds
Mystery / ThrillerJosh Manson, ragazzo di diciassette anni che vive a Libertyville, sente le voci nella testa da tutta la vita e condivide il suo dolore con Kimberly, adolescente vivace e solare che tutti ammirano e della quale non può fare a meno. il giorno del fune...