17. paradiso terrestre

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Il frutto proibito è sempre il migliore,
e il divieto gli conferisce quel profumo
e quel sapore che gli altri frutti non hanno.

*

Il tragitto verso casa è silenzioso, ma non è il tipo di silenzio confortevole. È un silenzio denso, pesante, carico di tutte le parole non dette che continuano a rimbombare tra le mie orecchie. Camminiamo fianco a fianco, eppure mi sembra di non poter essere più lontano da lui.

Ogni tanto gli lancio un'occhiata di sfuggita, cercando di capire cosa stia pensando, ma il suo sguardo è fisso davanti a sé, lontano, come se stesse tentando di allontanarsi mentalmente da tutto.

Quando arriviamo alla porta di casa si ferma per un istante, quasi esitando. Non riesco a capire se è stanco o se semplicemente non ha voglia di entrare.

Dal canto mio, nonostante tutto, non posso fare a meno di fissare la sua mano che si appoggia alla maniglia, le dita che tremano appena prima di aprire. Quella mano ricolma di ferite che vorrei prendere e riempire di baci, se solo me lo concedesse.

Entro subito dietro di lui, e un odore familiare ci accoglie. Sembra quasi volerci far dimenticare che là fuori è successo qualcosa di importante, qualcosa che ci ha avvicinato ma che ancora non sappiamo come gestire.

Per qualche istante restiamo immobili nell'ingresso, come se nessuno dei due sapesse cosa fare dopo. Mi viene da chiedergli di nuovo di parlarmi, di aprirsi, ma ho paura che tutto ciò che siamo riusciti a costruire si frantumi se insisto troppo.

«Ti devo dire una cosa» azzardo senza rifletterci troppo, dopodiché chiudo gli occhi, non riuscirei mai a proferire parola davanti al suo viso ipnotico.

La mia voce si spezza appena pronuncio queste parole, come se già solo il pensiero di rivelarmi fosse un atto di coraggio che non sapevo di avere. C'è qualcosa di quasi disperato nella mia volontà di parlargli, un bisogno urgente che mi stringe il petto, ma che al contempo mi tiene intrappolato.

«Ancora?» ci scherza su, in seguito lo percepisco voltarsi, poiché un gelo improvviso mi persuade.

«Sento delle cose strane» mormoro a bassa voce, come se ogni parola fosse troppo delicata per essere pronunciata a voce alta.

Lui sospira, ma lo sento fare qualche passo verso di me. C'è una leggera esitazione nei suoi movimenti, come se stesse valutando se avvicinarsi o restare distante, e mi chiedo cosa stia pensando. «Perché non apri gli occhi?» chiede infine, e nella sua voce c'è un tono così morbido che mi fa vacillare.

«Perché non ho il coraggio di dirtele guardandoti in faccia» ammetto, tentando di prendere coraggio, nonostante risulti complicato, «perché ogni volta che mi guardi sento una fitta allo stomaco, perché quando mi sfiori, anche per pochi secondi, il mondo attorno si ferma». In quest'istante sento il mio respiro diventare più pesante, e mi rendo conto che per quanto faccia male devo continuare. «Non so cosa significhi tutto questo, e non so nemmeno se a te importa davvero, ma io non riesco a fingere di non sentire più niente. Mi fai sentire così confuso... come se stessi lottando contro qualcosa che non posso vincere, come se ogni volta che ti avvicini un po' di più, poi subito ti allontani e lasci un vuoto che non riesco a colmare».

«Jungkook, ti prego» tenta di supplicarmi lui, poggiandomi una mano sull'avambraccio, e nonostante io rabbrividisca al suo tocco, nonostante vorrei che non smettesse mai di sfiorarmi, mi scosto, mi serve per mantenermi lucido.

Decido perciò di andare avanti, non posso più trattenermi. «Mi piace quando sei vicino, quando smetti di fare il duro e sembri solo te stesso. Vorrei vederti così più spesso. Vorrei capirti, ma non me lo permetti. E fa male, perché mi fai provare cose che non ho mai sentito prima, e non so come fermarle, non so come fare finta che non esistano».

stepbrothers - taekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora