Se così sarà, dovrò rinunciare al mio rituale personale, lontano dalla folla plaudente dell'arena; dovrò smettere di scendere l'angusta scaletta che mi conduce nelle profondità della struttura, nella zona dove i tori vengono preparati al combattimento e dove vengono riaccolti poco dopo, prima di essere destinati al macello. Dovrò smettere di entrare solo nel locale buio dove giace la carcassa dell'animale vinto, annusando l'odore ferale della sua furia appena spentasi, appoggiando le mani sui suoi muscoli immobili, ormai tiepidi. Dovrò smettere di chinare il mio capo sul collo, incidendone le arterie e suggendo l'ultimo nutrimento che può darmi, bevanda estatica, che racchiude dentro di sé tutta la forza, la rabbia e l'esaltazione di ciò di cui sono stato testimone.
Qui, nell'oscurità, accanto al colosso caduto, ho compreso centinaia di anni fa che cosa è a rendere grande questo paese: non importa quante volte il toro cada nell'arena, ce ne saranno sempre dieci, cento, mille pronti a prendere il suo posto.
Ora però tutto questo sembra destinato a finire. Il parlamento catalano ha osato bandire le corride, e persino qui, nella culla di questa civiltà, le voci contro questo rito si alzano sempre più risolute. Miseri umani, non si rendono neppure conto di quello che dicono. Animalisti, uomini senza alcun midollo, creature così insignificanti che stento a credere possano discendere dagli antichi Conquistadores.
E naturalmente, politici che cavalcano quest'ondata popolare, per il proprio tornaconto personale. Un tempo nessuno avrebbe osato sfidare la mia influenza, nessuno si sarebbe schierato contro il volere dei Barros: ora però i miei avversari si godono la loro impunità, frutto delle mie stesse scelte, e levano a gran voce le loro ridicole pretese.
Sempre più difficilmente riesco a far accogliere le mie richieste, sempre più pesanti sono i favori che devo elargire a patetiche larve che potrei schiacciare con un gesto della mano.
Ma, come ho già detto, anche questo è frutto di un tempo impazzito, che non comprendo e che non comprende me. A volte, disteso nell'oscurità, mi ritrovo a sognare di essere io il toro, con davanti un mostruoso torero cangiante, la modernità, di fronte al quale persino io non ho alcuno scampo.
Così, accompagnato da tutte queste riflessioni, trascorrevo l'ennesima serata a un ricevimento, nel cuore della capitale. Impegni mondani ai quali devo presenziare, se voglio che la forza della mia presa non si affievolisca, fino a svanire del tutto.
E mentre ero là, seduto ad ascoltare chiacchiere futili, nel silenzio della serata un grosso camion bianco si avvicinava lentamente alla mia azienda, che avevo lasciato nelle mani di Alonso, uno dei miei due figli, quello che ritenevo il più assennato. Hanno raccontato di essere lì per la pulizia straordinaria delle stalle, e lui ha deciso di credere al loro racconto e ai loro stupidi documenti fasulli, tutto perché era troppo impegnato a conquistare il favore di una sua ospite, vinto dalla frenesia della caccia.
Quegli uomini sono entrati nella mia casa, e approfittando della mia assenza mi hanno derubato: hanno portato via ventiquattro tori, fra i migliori dell'allevamento, ventiquattro frammenti della mia anima. Senza incontrare alcuna resistenza, senza destare alcun sospetto.
Quando sono rientrato a notte fonda, insieme a Miguel, il mio altro figlio, ho trovato tutte le luci accese e ho subito capito che era successo qualcosa: nella mia lunga esistenza ho imparato che una casa illuminata e silenziosa è sempre sinonimo di disgrazia. I custodi erano in allarme, e mi hanno avvisato del furto; Alonso era in salotto, solo, ad attendermi.
"Padre", disse vedendomi, "Padre perdonami, mi sono lasciato ingannare."
"Dov'eri tu mentre i miei tori venivano portati via, Alonso?"Il silenzio con cui mi rispose era denso di colpa, come lo era quell'odore inconfondibile che sentivo giungere da oltre la porta chiusa dello studio.
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Tauromachia
HorrorUn nobile spagnolo. Vecchio. Troppo vecchio. Una giovane animalista. Un allevamento di tori. La corrida. Le zanne.