Capitolo 8

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2 marzo


Mai più storie sul posto di lavoro.

Se la ricordava il professor Fell quella promessa che aveva fatto a sé stesso dieci anni prima col cuore in pezzi e un biglietto solo andata per Atene in mano.
Se la ricordava anche mentre accarezzava quei magnifici capelli fulvi e ne percepiva la consistenza setosa con ognuna delle dieci dita (era fatto così, i piaceri amava goderseli sempre al massimo), seduto su una panchina di fronte alla tomba di John Keats.
Il respiro dell'uomo sopra di lui si stava facendo sempre più regolare, probabilmente a breve si sarebbe addormentato sulle sue gambe. Qualcosa formicolò nel petto di Aziraphale a quel pensiero.
Ma dopotutto Anthony non proveniva esattamente dal suo posto di lavoro, no?
Stavano scrivendo un romanzo insieme, certo, ma non era un collega d'ufficio. Era uno scrittore vero, che si dedicava solo a quella forma d'arte, non faceva tre lavori come lui per riempire ogni minuto della giornata e non sentire il vuoto della sua esistenza. Esistenza che ogni giorno sentiva meno vuota. Più leggera. Più serena.

E il motivo giaceva quasi addormentato sulle sue cosce. Lo conosceva da meno di due mesi, ma lo avrebbe tenuto così per sempre.

Ricordò il motivo della promessa. Aveva perso tutto in una sola giornata. Amore, lavoro, conoscenze.
Tutta quella che era la sua vita.
Ma stavolta? Cosa sarebbe potuto accadere? Anche se fosse finita male (Stai di nuovo pensando alla fine di qualcosa che non è nemmeno iniziato, Aziraphale?), anche se fosse iniziata male, anche se quell'uomo lo avesse rifiutato, se gli avesse frantumato, triturato e calpestato il cuore, il suo corpo anche senza cuore avrebbe potuto proseguire la sua solita esistenza, no? Non era come viveva sempre, dopotutto?
Il lavoro di direttore sarebbe rimasto, anche quello di maestro di karate. Magari non avrebbe scritto mai più, ma in quell'ambito era bloccato già da prima di conoscerlo.
Il mondo non avrebbe perso nulla di valore.

Si rese conto che a quei pensieri aveva smesso di toccare quella splendida chioma e aveva invece iniziato a girare e rigirare l'anello di suo padre (che prima era stato di suo nonno e prima ancora del suo bisnonno e che probabilmente esisteva da quando esistevano i Fell).

Si impose di tornare a sfiorare quelle ciocche e respirare.

Prima c'era andato così vicino. Gli era sembrata l'occasione adatta. Dopo una serata insieme, soli, di notte, in un luogo così suggestivo... Era come se una voce gli avesse sussurrato Bacialo. Bacialo adesso.
Crowley così elegante in blu, steso su quella panchina non gli era mai sembrato tanto irresistibile.
E invece aveva resistito.
Come al solito nella vita non era riuscito a fare il primo passo.
Probabilmente non ci sarebbe mai riuscito.
Lo aveva trovato con gli occhi aperti, spalancati, quasi spaventati, si era sentito scrutato fin dentro l'anima da quelle iridi d'oro e si era lanciato su quell'unica scusa balenata in quei decimi di secondo: quegli splendidi capelli che sfioravano il suolo.
E che come tutte le inutili scuse che collezionava da quasi quarantasei anni aveva funzionato.

Tornò a guardarlo.
Il volto era perfettamente rilassato e potendolo osservare senza le solite lenti si soffermò sul disegno preciso delle sopracciglia, sulle ciglia lunghe, sulle lentiggini che adornavano elegantemente guance, naso e quella piccola porzione di fronte sopra le sopracciglia. Non aveva mai notato avesse lentiggini anche lì.
Sei uno spettacolo.
Pensò di non meritarsi un uomo del genere addormentato su di sé. Non aveva mai conosciuto nessuno così.
E forse nessuno aveva conosciuto lui così. Dopotutto stavano facendo insieme una cosa così privata. Scrivere insieme, mettersi a nudo in un'attività che Aziraphale continuava a considerare profondamente intima. E pareva anche lo stessero facendo bene.
Tutto merito di Anthony. Sue erano le idee, suo lo straordinario talento, sua la maggior parte del tempo dedicato a macinare battute su battute.

Continuava a seguire con le dita quelle onde di fuoco.
Chissà che odore avevano.
Lo guardò meglio. Dormiva sereno.
Osò.
Si portò al volto alcune ciocche, ci si accarezzò il viso, inalò il profumo che emettevano: miele, camomilla, forse qualche frutto. Melograno. Oppure mela.
A contatto con le guance parevano ancora più morbidi.
Osò di più. Voleva sentirli sulle labbra. Quelle labbra che da tutta la sera chiedevano attenzioni e volevano toccare, sfiorare, assaggiare. E si sfogarono su quella chioma paradisiaca con silenziosi e teneri baci.
Rimase per un bel po' così a godere di quella chioma.

Poi guardò in cielo e ringraziò qualcuno per quel dono incredibile che non credeva di meritare.

In effetti aveva ragione Anthony. Il cielo era limpido, ma di stelle se ne intravedevano ben poche. Si ricordò il cielo del paese in cui era cresciuto, tra gli Appennini. Lì sì, che se ne vedevano. Ad Anthony sarebbe piaciuto. Chissà. Chissà se lo avrebbe mai scoperto.

Intanto gli avrebbe fatto quel regalo. Mancava solo una settimana al suo compleanno e anche se l'altro diceva di non amare le sorprese, ne avrebbe ricevuta una bella grande. Forse due. Sorrise scioccamente a quel pensiero.
Certo avrebbe dovuto trovare un luogo speciale. No, non Ostia. Per qualche tempo preferiva non invitarlo lì. Una mezza idea la aveva. Dopotutto Uriele gli doveva ancora un grosso favore. Il museo che dirigeva effettivamente poteva essere l'ideale. Specie se era ancora chiuso per il restauro.
Domani lo avrebbe chiamato.

Un soffio di vento spostò i capelli di Crowley. Aziraphale gli sfiorò le mani, temendo potesse sentire e prendere freddo. Era appena guarito da quella brutta influenza.
In effetti iniziavano a essere meno tiepide.

Gli dispiaceva l'idea di svegliarlo.
Dopotutto Crowley era un fuscello, avrebbe potuto tranquillamente trasportarlo fino alla macchina tenendolo tra le braccia. Ma c'erano troppe porte, serrature e portiere da aprire. Lo avrebbe comunque svegliato e magari quel trasporto sarebbe risultato inopportuno. Magari al rosso non sarebbe nemmeno piaciuto essere spostato come una novella sposa. Sorrise ancora scioccamente a quel pensiero.

Alla fine qualcun altro scelse per lui e dalla vicina caserma dei vigili del fuoco partì un camion a sirene spiegate. E Crowley si destò. Si stiracchiò le braccia e aprì gli occhi. Dopo qualche secondo di smarrimento, parve rendersi conto di dove fossero e scattò a sedere.
"Vogliamo andare? Ti accompagno alla macchina."
"O-okay. Grazie, angelo."

Penna d'angelo, penna di demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora